Cyclolenti in Azerbaijan: Baku, auto onnipotenti!
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A volte è curioso guardare le cose da vicino. Il primo giorno in Azerbaijan, ad esempio, mi sono imbattuto in questo insettino che salta come un grilletto e che dispone di un camouflage perfetto, ha una «coda» che lo fa confondere con il polline nell’aria. Poi ancora un altro insetto che in questo periodo dell’anno è ovunque. Ha un viso simpatico: il muso ricorda una scimmia, il pizzetto e la barba un uomo, il puntino arancione in mezzo alla fronte gli indiani e le labbra sottili e colorate quella di una donna, sembra che stia ridendo!
Oggi gran giornata di vento. Per gli ultimi 95 km che ci separano dalla capitale non c’è nulla se non i pali elettrici che seguono le curve delle colline steppose. Il nero dell’asfalto si perde all’orizzonte mischiandosi con l’immenso azzuro del cielo e il mare di giallo di questo paesaggio desertico. Complici, io, Tiph, Ginevra e John, ci aiutiamo a vicenda pedalando uno dietro l’altro. A turno uno di noi va avanti come apri pista. Quando la strada lo permette ci mettiamo in formazione diagonale per rompere il vento che imponente arriva da nord. La monotonia della steppa viene improvvisamente spezzata. Una curva ed ecco che il blu del Mar Caspio irrompe nel paesaggio. Insieme ad esso sorge dal nulla un grande agglomerato urbano: è Baku.
Si, abbiamo visto bene, l’autostrada è l’unica entrata possibile, non c’è altra soluzione! Questa città è davvero cara e vive una grossa sproporzione con il resto del Paese. Se lo stipendio medio è di 260 euro al mese, come può un pacchetto di pasta da 400 gr (che non porta nemmeno un marchio italiano) costare 4 euro? Per fortuna ci sono Eyup e Destan ad ospitarci. Sono entrambi turchi, lei architetto, lui ingegnere. Nonostante la giovane età e la florida carriera, hanno ben presto realizzato che il mondo è fatto d’altro e per approfittarne al meglio, a settembre, smonteranno baracca e burattini per una vita in sella ad una bicicletta. Sono gasatissimi e avere quattro cicloturisti in casa che stanno già realizzando il loro sogno (ospitano contemporaneamente anche Rob e Beccy, un’altra coppia di cicloturisti inglesi che viaggiavano ad un giorno da noi), è una grande emozione.
La sera, quando rientrano a casa dal lavoro, culture e tradizioni di quattro Paesi diversi si mescolano e si materializzano sotto forma di pietanze intorno ad un tavolino sul piccolo balcone, i numerosi edifici che ci fanno da sfondo lasciano intravedere solo un lenzuolo di mare, la brezza rinfresca l’aria, si può di nuovo respirare.
Strade estremamente ordinate e pulite, grattacieli, alti palazzi specchiati, che promettono di esaudire qualsiasi desiderio in cambio di una vita dedicata al lavoro, non rappresentano la vera anima del popolo azero. Basta entrare in un qualsiasi palazzo per rendersi conto di ciò che nascondono le sfavillanti facciate. Ho l’impressione che da queste parti l’apparire conti più di tutto. Percepisco una mancanza di personalità, una sensazione di vuoto, come i palazzi che sono abitati solo al 40%, stando a ciò che ci riferisce Eyup che è del settore. Le auto qui hanno la priorità assoluta. Per evitare la minima interferenza al loro circolare, i pedoni sono costretti a salire e scendere ogni 100-200 metri per mezzo di sottopassi (abbiamo provato ad attraversare una volta la strada bypassando il sottopassaggio, ma un poliziotto ci ha subito fermati e chiesto i passaporti…).
Da qualche giorno, a quanto pare, perfino le biciclette non possono usufruire della strada. «Dovete andare sul marciappiede» ci indicano minacciosamente i poliziotti. Sono letteralmente ad ogni angolo, non c’è modo di farla franca. Eyup, stupito di questa novità, prova a farli ragionare «lo vedete che ci sono delle scalinate ogni paio di metri? Come facciamo ad andarci in bicicletta?», ma niente da fare, si oppongono come dei muli, eseguendo il comando alla lettera e senza vedere al di là del proprio naso. Mi vengono in mente le parole di Silvano Agosti che durante una sua intervista dice : «…perchè se domani ci svegliamo che la maggioranza decide che bisogna tagliare un braccio a tutti i cittadini, noi ci dobbiamo tagliare il braccio». Forse aveva ragione il cartello che, prima della frontiera in Georgia, portava scritto: Azerbaijan, buona fortuna».
«Se hai soldi puoi fare tutto ciò che vuoi a Baku» ci racconta Destan «puoi anche uccidere una persona e farla franca. 250mila dollari nelle mani giuste e il caso è archiviato». Ma il denaro, si sa, gira solo con altro denaro e il popolo azero per quanto viva in un Paese estremamente ricco di risorse naturali (gas e petrolio) ne beneficia ben poco. «Fino a qualche mese fa il 70% degli introiti derivanti dall’estrazione di greggio andava alla British Petrolium e il 30 % all’Azerbaijan . Ora le percentuali sono opposte, ma per i cittadini non è cambiato nulla. Prima i soldi andavano alla grande multinazionale, ora nelle tasche della famiglia del presidente» ci raccontano in una chiacchierata la coppia turca.
Migliaia e migliaia di ragazzi riempono le larghe strade della capitale. «Che succede? Stanno manifestando per qualcosa?» chiedo ad Eyup, che mi dice: «Qui è possibile manifestare solo per esprimere un’idea a favore, qualsiasi cosa vada contro è «gentilmente represso» (visto le cose questo articolo, per prudenza, lo pubblichiamo all’uscita dal Paese). Ci avviciniamo alla folla, sono i volontari dei giochi olimpici europei. Qualcuno ha organizzato per loro questa giornata per ringraziare il Paese di aver ospitato un simile evento (ma quanta spontaneità?!). Sono stati pagati una manciata di manat per due settimane di duro lavoro, dovrebbero piuttosto manifestare per un degno stupendio, visto che sono stati dati 2milioni di dollari a Lady Gaga per il tempo di una canzone. «Lo sapete che con gli stessi soldi spesi per i giochi olimpici europei (tra l’altro fuori dall’Europa!?!) si poteva dare una casa a tutti i poveri del Paese?» chiedo ad uno di loro un po’ per provocazione. «Ah, non ci avevo pensato» mi risponde con la faccia di uno che non si era mai posto il problema prima di allora.
Abbiamo appena appreso che il nostro visto uzbeko è pronto. Al telefono l’unica signora che parla inglese al porto ci conferma che potenzialmente c’è una nave cargo pronta a partire in giornata. Scatta il conto alla rovescia. Una corsa alla banca per pagare dai manat a dollari la tassa del visto. Ci dividiamo i compiti, abbiamo le ore contate. Io faccio una sudata per raggiungere le ambasciate in collina e far apporre il timbro che ci aprirà le porte dei prossimi Stati, Tiph va al porto per capirci di più sull’orario di partenza ed eventualmente comprare i biglietti. Carichiamo di fretta e furia le quattro bici (siamo in compagnia di Ginevra e John, che come noi hanno ottenuto il visto oggi) sul furgoncino che gentilmente Enes, un amico di Eyup e Destan, ha organizzato per noi tramite un contatto di lavoro.
Viaaaaaa più veloci della luce !!! Alat, stiamo arrivando !
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