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speranza s.f. dal latino spes, ‘speranza’. La radice semantica è probabilmente la stessa di spazio, perché in origine il termine significa tendenza, aspirazione (il tema *spes, nella forma semplice spe-, è presente anche in area germanica, slava e baltica).
I cristiani la considerano una delle virtù teologiche per la quale il credente aspetta con fiducia da Dio il soccorso della sua grazia in questa vita e la felicità eterna nell’altra. In ambito ‘laico’ viene comunemente intesa come un sentimento che nutre l’attesa di un bene che si desidera e che non si è ancora raggiunto, e che forse non si raggiungerà mai, ma verso cui tuttavia si tende lo stesso. In questo senso la speranza ha sempre nutrito la poesia, le narrazioni struggenti di grandi avventurieri, che esprimevano sentimenti di aspettazione fiduciosa nella realizzazione di quanto desideravano. La speranza alberga da sempre a nessun dove e vivifica l’utopia, nutrendola di sogni.
Ma il tarlo della competizione e del successo finisce per trasformare semanticamente anche i termini più belli e carichi di significati onirici. Ed è proprio questo ciò che avviene ogni volta che sentiamo parlare di una persona di “belle speranze”, ovvero di uomo che appare destinato a una carriera brillante e carica di successi. E il successo, è noto – nella cultura occidentale in cui tutto è sottoposto all’oikonomia –, lo si ottiene calpestando gli altri, ovvero privando gli altri delle loro speranze, dei loro sogni, dei loro desideri.
Al colmo del paradosso, la speranza è stata deturpata concettualmente anche in ambito giuridico con la definizione di “vendita di speranza”. Si tratta, nello specifico, di una forma di contratto aleatorio che comporta per il compratore l’obbligo di pagare il prezzo stabilito anche se l’evento ‘sperato’ non si realizzi o sia diverso dal previsto. E non è ancora tutto, perché nella società in cui ogni cosa viene misurata ed è soggetta a valutazione, la speranza è diventata anche un metro per calcolare l’esistenza. La speranza di vita, detta anche vita residua, rappresenta a tutt’oggi infatti un dato statistico, ovvero il numero medio di anni che un individuo di una certa popolazione deve aspettarsi di poter vivere.
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