Seguici su:
Questa mattina non abbiamo troppa voglia di pedalare, decidiamo di testare l’auto-stop georgiano. Nell’attesa faccio le treccine a Marco che inizia ad evere i capelli lunghi… nessuno si ferma, per un attimo penso che la gente creda che gli stia cercando delle pulci in testa. Ecco qualcuno, viaggiamo tra pomodori, cetrioli e formaggi. A Ninotsminda, vicino alla frontiera armeniana, ci domandiamo cosa siano mai questi tubi gialli che corrono lungo tutti i paesini, cosa trasportano? Dell’acqua? No, è del gas! Viene dritto dritto da Baku in Azerbaijan! Nei villaggi sugli alpeggi, invece, il gas non ci arriva e le case sono contornate da muretti fatti di sterco pressato messo a seccare, lo usano come combustibile per cucinare e riscaldarsi.
Ci vorrano 4 mezzi per arrivare a Tbilisi e tanta fortuna per arrivarci vivi! I nostri autisti sono azeri, armeniani, georgiani, ucraini abitanti dell’Ossezia del sud (regione occupata dalla Russia). Vivono tutti in armonia in Georgia lontano dai conflitti politici. Ma qualsiasi sia la loro origine, guidano tutti come dei pazzi! Abbiamo ben presto capito che non bisogna assolutamente distrarli con conversazioni o foto mentre sono al volante, vanno così veloci che basterebbe un secondo per ritrovarci fuori strada. Uno di loro sembra quasi divertirsi a vederci impallidire e sgomma ad ogni possibile curva. Il massimo lo raggiungiamo con gli slalom a Tbilisi, sembra di stare nel film «Taxi». Bene, siamo stati vaccinati, auto-stop in Georgia può bastare!
Che piacere riprendere la bici e osservare il paesaggio che cambia lentamente… Tbilisi in bici non è affatto divertente: siamo ad appena 400 mt d’altitudine e il calore e l’inquinamento sono soffocanti. Ci informiamo se è comodo prendere la metro ma diversi abitanti non l’hanno mai presa: « perchè prendere la metro se ho una macchina? E poi l’aria della città è pesante, in auto posso mettere l’aria condizionata, mi sento meglio». Risolvere il problema creando ancora più inquinamento, bel ragionamento…
Soso, incontrato in montagna, ci accoglie nella capitale, è troppo occupato così come sua moglie (hanno una dozina di supermercati in città) e hanno quindi deciso di sistemarci in albergo. Siamo sorpresi, non ci hanno detto nulla, avremmo potuto trovare una soluzione con la rete Warmshowers. La sera ci portano al ristorante, è un vero e proprio banchetto! Non siamo più abituati a così tanto lusso! Stoniamo un po’ in questo ambiente con i nostri vestiti tutti consumati e bucarellati qua e là.
Missione del soggiorno a Tbilisi: inoltrare la nostra prima richiesta di visto. Direzione ambasciata dell’Azerbaijan. Siamo aggiornati sulle varie formalità grazie al sito internet caravanistan.org, molto utile se si viaggia sulla via della seta. Foto, fotocopie del passaporto, LOI (lettera d’invito) o prenotazione d’albergo (facilmente annullabile in un secondo momento tramite il sito booking.com), modulo di richiesta compilato… in cui bisogna assolutamente rispondere “no” alla domanda «siete già stati a Nagorno-Karabakh regione dello Stato azero occupata dall’Armenia?», pena il rischio di essere negato a vita l’ingresso nel Paese.
Entrata nell’ambasciata, controllo dei passaporti, le guardie sono simpatiche, sorridono. Corsa contro il tempo alla banca azera per pagare 92 Lari ossia 35€ (siamo fortunati a non essere inglesi o americani altrimenti sarebbe stato il doppio) e ritornare all’ambasciata prima della chiusura per lasciare la ricevuta. Adesso non ci rimane che aspettare! Ma non a Tbilisi, partiamo in direzione nord-est a Kakhètie per fare del wwoofing.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento