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Lazio - Cantalupo in Sabina è un paesino di 1600 residenti in provincia di Rieti. Da undici anni a questa parte, a settembre, si trasforma in un vero e proprio palcoscenico: più di 800 artisti nell’arco di quattro giorni si mettono in mostra con circa 150 spettacoli differenti ogni sera. Tutto è totalmente gratuito ma impeccabile.
Le stradine del paese si animano di dipinti, foto, concerti, spettacoli teatrali, circensi, performance di danza e letture, si articolano in vari percorsi che lo spettatore può seguire come le tappe di una via crucis a volte sublime, a volte divertente e paradossale, perché gli artisti sono liberi di esprimere la loro creatività, dare la loro ipotesi espressiva e in cinque minuti mostrarla al pubblico che sceglie di guardarla o andare oltre, alla scoperta di nuovi scorci e nuovi vicoletti del centro storico.
In cinque minuti si può comunicare la propria arte? E la cultura può fare più share di un’associazione sportiva? Sono state queste le domande che hanno dato origine alla manifestazione che Riccardo Serena insieme a sua sorella e molti amici artisti hanno ideato. Ben undici anni fa si sono chiusi in una stanza e hanno pensato a cosa potesse restituire linfa vitale al loro paesino. Si sono ricordati degli anziani che chiaccheravano ore sulle loro sediole davanti casa, della piazzetta in cui hanno giocato insieme. Hanno ripensato al senso delle relazioni, della vicinanza, dell’aiuto reciproco. In controtendenza con la fuga dei giovani verso le città, loro sono rimasti e sono riusciti solo qualche settimana dopo quell’incontro di idee, a dare vita ad ARTEr.i.e, che nel tempo è diventata la più importante realtà provinciale. Una scommessa vinta con il sindaco di allora.
Tuttavia quei pochi ideatori hanno rinunciato alla loro paternità: un nuovo collaboratore ha gli stessi poteri dei vecchi organizzatori perché anche nell’organizzazione vige il sistema delle ipotesi espressive e tutti possono avere un’idea originale.
Ha poche regole ARTEr.i.e: come in una favola in cui una città si trasforma in un’altra città immaginaria, in una città ideale, tutto comincia alle ore 21 con un rito apotropaico di in bocca al lupo che si svolge proprio nella piazza principale, gli artisti in cerchio, mano nella mano diventano complici, poi le luci si spengono alle 23.15. Tutti i percorsi confluiscono in un Velario, dove poi ogni sera va in scena lo spettacolo finale, il fiore all’occhiello.
La magia dura solo quattro giorni, ma il lavoro dietro le quinte dura tutto l’anno.
La manifestazione non ha sponsor, non circola denaro, non c’è la commercializzazione dell’arte. Gli artisti insomma non possono fare cappello: ARTEr.i.e ha uno scopo etico. Non perché gli artisti non debbano vivere del loro lavoro, ma perché qui si sente il bisogno di offrirsi e di ricevere bellezza. Nel manifesto di ARTEr.i.e si legge: “La filosofia della manifestazione è che l’arte è viva se viene mostrata per nessun altro motivo che se stessa”.
Tutti collaborano affinché la festa riesca nel modo migliore. Non servono sponsor perché l’intero paese si mette in moto, le nonnine preparano da mangiare per gli artisti, tutti aiutano nell’allestimento delle strade, si percepisce un clima di collaborazione, di orgoglio, di bene comune. E quindi soprattutto chi organizza non percepisce soldi.
La collettività qui si materializza nello scopo ultimo di offrire arte, di creare rete tra gli artisti che sono molto felici di incontrare il pubblico, raccontare la loro storia, ma anche di rafforzare il senso civico di adulti e di bambini che diventano già cittadini attivi. Quindi ARTEr.i.e ha pure un alto valore educativo, anche per la quantità e qualità dei laboratori organizzati. Inoltre si mantiene un grande rispetto per gli abitanti che possono decidere di non offrire il loro spazio per le performance, nulla è imposto.
Un fiume di gente arriva curiosa (si registrano 20mila presenze di pubblico) ma anche rispettosa del territorio e degli artisti, ARTEr.i.e fa bene a tutti. Applausi, risate ma anche silenziosi passaggi oltre, al prossimo artista.
Libertà di contaminarsi per creare quella che non è davvero la solita festa.
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