Io faccio così #77 – Andrea Saroldi: la rivoluzione dei Gas e le Reti di Economia Solidale
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Torino - Come accade spesso per molti esperimenti ben riusciti, anche nell’esperienza di Andrea Saroldi il successo dell’idea si sviluppa quasi per caso. Oggi è il presidente dell’Associazione “Gastorino”, la rete di Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) della città, ma quando all’inizio degli anni ’90 iniziava a parlare di queste tematiche faceva parte di una piccola compagnia di amici – la Rete Lilliput – che non si aspettava di ottenere l’espansione raggiunta a partire dagli anni successivi.
Oggi in qualità di megafono della rete dei GAS, Andrea Saroldi si occupa insieme al resto dell’Associazione di dare più voce e più spazio alle loro istanze attraverso sia il confronto con la politica e le istituzioni, sia lo studio e il dialogo con i media e il mondo della comunicazione in generale.
Il primo GAS nasce a Fidenza nel 1994, tre anni dopo se ne contano dieci in tutta Italia ma da quel momento crescono esponenzialmente e oggi, arrotondando per difetto, sono oltre duemila. È difficile quantificare quante siano esattamente, proprio per la loro natura spontanea e non formalizzata, basata essenzialmente sull’iniziativa privata dei singoli cittadini. Normalmente un GAS è costituito mediamente da venticinque o trenta persone, “un numero ragionevole entro il quale si riesce a gestire un rapporto di fiducia tra il produttore e il consumatore“, spiega Saroldi. Quando un GAS inizia a ricevere più richieste di adesioni normalmente si divide, dà vita ad un nucleo nuovo e si mantiene intatto il concetto di Piccola Distribuzione Organizzata che sta alla base di questi gruppi di acquisto.
Ma cosa spinge solitamente una persona ad unirsi alla rete dei GAS? Il presidente di “Gastorino” chiarisce che secondo una ricerca di Michele Bernelli e Giancarlo Marini, i GAS della prima ora erano costituiti da persone già seriamente impegnate sui temi dell’economia e del commercio equo-solidale e che in seconda battuta si sono avvicinate all’esperienza dei gruppi di acquisto. Ultimamente invece la tendenza sembra essersi invertita: “Oggi gli utenti dei GAS sono molto più eterogenei”, considera Saroldi, “alcuni si avvicinano perché motivati dalla volontà di acquistare un prodotto più sano e approcciano solo in un secondo momento al tema del consumo critico in alternativa alla grande distribuzione e al commercio globalizzato”.
Il passo successivo compiuto da Andrea Saroldi è stato quello della costituzione delle Reti di Economia Solidale (RES), per mettere insieme tutte quelle persone che già pensavano e agivano in questa direzione. L’idea è che ognuno di noi, ai vari livelli, può fare qualcosa per cambiare il mondo intorno a sé attraverso un impegno quotidiano per modificare il proprio stile di vita. “A livello personale, territoriale e globale tutte queste azioni devono collegarsi e mettersi insieme” commenta Saroldi chiarendo il percorso di sviluppo delle Reti.
Ogni paese, tuttavia, ha le sue peculiarità e per quanto esistano reti internazionali è più difficile, in questo caso, avviare un rapporto costruttivo. In paesi come la Francia e la Spagna le reti sono molto più formalizzate, nella maggior parte dei casi si costituiscono come Associazioni e fanno molto affidamento sull’appoggio, anche finanziario, delle istituzioni locali. Al contrario in Italia si conta molto sulla libera iniziativa e il sostegno di referenti istituzionali non è quasi mai contemplato. Per quanto la maggior parte di questi nuclei mantega uno statuto informale, la moltiplicazione dei gruppi che sono entrati a far parte della rete ha portato alla formazione di strutture locali, i cosiddetti “distretti“, circa cinquanta in tutta Italia e quasi tutti costituiti come Associazioni in modo da facilitare lo sviluppo dei progetti, il rapporto con le istituzioni e la gestione della distribuzione.
Commentando il successo degli ultimi dieci anni Andrea Saroldi riprende la teoria di Euclides Mance, il filosofo brasiliano cui si sono ispirate le Reti in Italia, secondo cui non è l’economia solidale a invadere gli spazi di quella tradizionale, ma è l’economia tradizionale stessa a retrocedere spontaneamente. “L’economia tradizionale sta abbandonando ampi spazi, lasciando dietro di sé moltissime persone in difficoltà” – conclude il presidente di “Gastorino” – “quello che stiamo facendo è riempire questi spazi cercando di rispondere alle tante domande precedentemente rimaste inascoltate come quella che riguarda il nodo centrale del lavoro“.
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