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Benetton Group, tramite una dichiarazione rilasciata sul proprio sito web, ha annunciato che non userà più la lana d’angora per realizzare i capi delle prossime collezioni; il 4 giugno, l’azienda si è unita alle grandi firme, che hanno già aderito alla campagna lanciata dalla People for the Ethical Treatment of Animals (PETA): Lacoste, Zara, Pull & Bear, Calvin Klein, Tommi Hilfiger, French Connection, H&M e Bershka. L’azienda continuerà a vendere quanto prodotto sino ad oggi per smaltire i capi di abbigliamento appartenenti alle vecchie collezioni.
A incidere sulla scelta le 30mila mail inviate, i 340mila tweet e il presidio organizzato davanti al negozio in Regent Street, Londra, al quale hanno partecipato centinaia di attivisti. «Siamo lieti che Benetton abbia aderito alla lunga lista di aziende senza lana d’angora. Una decisione importante visto che il brand conta ben 6.000 punti vendita sparsi nel mondo», ha dichiarato la PETA. L’associazione ha ringraziato, inoltre, tutti coloro che hanno reso possibile questa vittoria; dopo il lancio dell’investigazione avvenuto nel 2013, che denunciava le crudeltà compiute sui conigli d’angora, sono state organizzate manifestazioni di protesta in tutto il mondo.
Il video, girato sotto copertura dagli attivisti della PETA, ha mostrato il trattamento riservato ai conigli negli allevamenti cinesi, produttori di circa il 90% delle pellicce d’angora. Il pelo morbido di questi animali gentili, intelligenti, socialmente complessi, è usato per produrre non solo capi di alta moda ma anche sciarpe, maglioni e altri accessori. Le immagini crude e scioccanti mostrano animali coscienti legati su assi di legno, ai quali viene strappata la pelliccia senza esitazione, davanti ai loro simili, tra grida di paura e dolore. Mentre lottano disperatamente e inutilmente per fuggire si feriscono alle zampe. I conigli d’angora sono sottoposti a questo trattamento ogni tre mesi per un periodo di tempo che va dai due ai cinque anni. Quando la loro pelliccia non cresce più, termina il ciclo di sfruttamento; a questo punto, i sopravvissuti vengono sgozzati, per essere venduti come carne di seconda qualità.
Il maltrattamento inflitto a questi poveri animali non è solo di tipo fisico ma anche psichico. Isolati in piccole gabbie senza arricchimento ambientale e senza la possibilità di interagire tra loro, i conigli non possono soddisfare i loro bisogni etologici. Amano la compagnia dei propri simili, curare la tana, pulirla e dedicarsi alla loro attività preferita, il foraggiamento. La detenzione negli allevamenti non gli permette, dunque, di svolgere le normali attività quotidiane.
L’indagine ha avuto un impatto significativo grazie all’enorme successo mediatico e all’impegno collettivo con conseguente calo drastico della domanda: le esportazioni di pelliccia d’angora sono diminuite del 74%. L’associazione ora lancia un appello: «Continuate a parlare di ciò che accade ai conigli ogni volta che vedete capi d’angora in vendita». Le vittorie sinora ottenute sono da attribuire a tutti coloro che hanno partecipato attivamente alla campagna. Spero vivamente che Benetton Group mantenga l’impegno preso.
Dal momento che l’azienda italiana ha sottolineato di realizzare i capi con il massimo rispetto per la natura, gli animali e le persone, vorrei che, oltre agli animali, anche quest’ultime fossero davvero rispettate, ricordando il Rana Plaza, in Bangladesh. Nel crollo dell’edificio, dove erano stipati lavoratori tessili, che producevano capi per 29 marchi occidentali, tra i quali Benetton appunto, morirono 1.138 persone e duemila furono ferite.
Dal comunicato della campagna Abiti Puliti, sezione italiana di Clean Clothes Campaign, si evince che Benetton vorrebbe versare nel Fondo per i risarcimenti per le vittime, appena 1,1 milione di dollari a fronte della richiesta di almeno 5 milioni di dollari, lasciando le famiglie senza un adeguato rimborso. «Il livello di responsabilità verso le vittime è molto più grande di quello di altri marchi. Benetton ha mentito pubblicamente riguardo le sue relazioni con il Rana Plaza nelle settimane successive al disastro, negando inizialmente qualsiasi legame con l’edificio e successivamente, dopo essere stata costretta ad ammettere che i suoi beni venivano prodotti anche lì, sottostimando continuamente l’entità del suo rapporto con la più grande fabbrica dell’edificio. Il fatto che Benetton, per sua stessa ammissione, abbia prodotto nel Rana Plaza più di un quarto di milione di pezzi, lavorando con la fabbrica per oltre otto mesi, senza mai compiere nessun passo per accertare la condizioni di sicurezza dei lavoratori, nonostante abbia condotto diverse visite di controllo della qualità della produzione. Se l’avesse fatto il Rana Plaza non sarebbe crollato. Già solo per questo, l’azienda è responsabile della morte e della mutilazione di migliaia di persone» si legge da un comunicato della campagna.
Ci auguriamo che l’annuncio fatto dall’azienda riguardo l’interesse verso il benessere degli animali e delle persone non sia solo una mossa pubblicitaria per chetare le pressioni delle associazioni animaliste o delle organizzazioni che operano per il miglioramento delle condizioni di lavoro nell’industria tessile globale. Per quanto riguarda la scelta di aderire alle aziende senza lana d’angora, avremo l’opportunità di monitorare Benetton, già dalla prossime collezioni, mentre per il rispetto dei lavoratori sarà decisamente più complicato verificare il trattamento e le condizioni a loro riservate.
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