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Pedestre, agg. [dal latino pedester], significa letteralmente a piedi, esprime l’atteggiamento e il modo d’essere di colui che cammina o che si sposta con le proprie gambe. È questo uno di quei termini che ha subito negli ultimi decenni una disarticolazione e una torsione semantica causata dalla rivoluzione tecnologica e dai suoi ritmi. La società del produttivismo senza limiti ha finito per influenzare profondamente la quotidianità degli uomini, trasformando dalle fondamenta le comunità, i valori e i comportamenti refrattari all’economizzazione. In un mondo in cui si resta a galla solo se si è capaci di sgomitare, di correre, di essere sempre al vertice della piramide sociale, non c’è spazio per il «pedestre», che deve essere emarginato, svilito, posto all’indice, perché per sopravvivere è necessario avanzare spediti, superare ogni limite, sovrastare chi resta indietro e non ce la fa a tenere il passo.
Non stupisce quindi il fatto che nella società attuale l’aggettivo pedestre, che qualifica letteralmente l’atto di andare a piedi, abbia assunto un significato sempre più sprezzante, finendo per rappresentare altro, e in particolar modo la mediocrità di chi non è capace di tenere il passo del progresso.
Ci si può fare un’idea di questa torsione semantica confrontando le diverse rese del termine nel passaggio dal latino all’italiano. Infatti, se si consulta il dizionario latino si nota che l’aggettivo pedester –tris –tre viene reso nella lingua italiana con a piedi, e in seconda battuta il termine viene usato per significare ciò che appartiene alla terra, che è terrestre, ma anche ciò che si predica della fanteria, così come può significare persino prosaico o semplice.
Nel dizionario italiano-latino, invece, al termine pedestre vengono associati i significati di umile e basso, senza considerare però che i latini per esprimere il senso di ciò che è umile e basso usavano gli aggettivi humilis-e e abietcus –a –um, e non pedester –tris –tre. L’idea che il pedestre sia umile o abietto è quindi molto recente, è un pregiudizio dell’homo technicus, convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili, e soprattutto nell’unico mondo possibile.
Il senso di quanto qui osservato è ormai così radicato nella nostra lingua contemporanea – e quindi anche nel nostro attuale mondo, perché i limiti del nostro linguaggio son i limiti del nostro mondo – tanto che nella versione italiano-latina del dizionario si giunge persino a sostenere che il significato di «pedestre» come ciò che va a piedi è da considerarsi ormai raro.
Tutto ciò è stato reso possibile dalla potenza trasformante della tecnica, che prima di modificare costumi e abitudini ha rivoluzionato il linguaggio, e con esso il pensiero, i desideri, le emozioni degli uomini. E così nel mondo della reattività e della rapidità, l’aggettivo pedestre ha finito per significare esclusivamente ciò che è di scarsa qualità, ciò che è di poco pregio, superficiale, piatto o eseguito in modo grossolano. Si pensi, infatti, a uno scritto pedestre, a un quadro o ad un’opera d’arte pedestre, a un tentativo pedestre di costruire qualcosa.
La tecnica che tutto ingoia con voracità supersonica ha reso l’idea della lentezza, e dell’andare a piedi, un atto privo di originalità e di novità, un atteggiamento di scarso valore e banale, che non è al passo coi tempi e che appartiene a chi non sa, non può, o non vuole specializzarsi per competere sempre più velocemente col mondo globale.
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