Io faccio così #67 – Maurizio Pallante e la Decrescita Felice: il benessere al posto del PIL
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Roma, Lazio - Decrescita è preferire la qualità alla quantità. Decrescita è cercare di conseguire il benessere anziché la ricchezza economica. Decrescita è migliorare la produzione dei beni e ridurre quella delle merci superflue. Decrescita è rinunciare a un’economia finalizzata alla crescita a ogni costo in favore di alternative concrete ed efficaci basate su nuovi paradigmi, come la sostenibilità e la solidarietà.
Maurizio Pallante è fondatore ed ex presidente del Movimento per la Decrescita Felice, che dal 2007 sta cercando di dare corpo e attuazione a questa visione del mondo. L’obiettivo di questa esperienza, che prende ispirazione dal libro di Pallante “La decrescita felice”, è ripensare la società e l’economia con un approccio pratico e operativo, proponendo soluzioni ai problemi che emergono dall’analisi. È questa la missione dei Circoli della Decrescita Felice, una trentina di realtà disseminate su tutto il territorio nazionale che portano avanti localmente le battaglie del Movimento.
«La causa della crisi che stiamo vivendo – ci ha spiegato Maurizio quando l’abbiamo incontrato a casa sua, a Chieri – è la crescita. E se la crescita è la causa, non può essere la soluzione». La via d’uscita va quindi ricercata altrove. Prima di tutto è necessario abbandonare la convinzione che il benessere delle persone aumenti di pari passo con il Prodotto Interno Lordo del paese, quindi con una crescita sempre maggiore di produzione e consumo di merci. Tale crescita compulsiva è possibile solo grazie al meccanismo del debito, «che consente di tenere alta la domanda e di assorbire tutta quanta l’offerta». Tutto ciò a discapito delle tasche dei cittadini, a cui viene data la possibilità di comprare prodotti di cui spesso non hanno necessità, nonostante il loro reale potere d’acquisto non glielo permetta.
Ma quella economica non è che una delle tante facce del modello consumista. Ci sono altre fondamentali variabili che vengono regolarmente trascurate, come la sostenibilità ambientale, i consumi energetici, le ineguaglianze sociali che vengono prodotte, le ricadute sulla salute. È per questo che il Movimento per la Decrescita Felice ha elaborato un insieme di linee guida attinenti ai più disparati ambiti – amministrazione, mobilità, sanità, energia, gestione dei rifiuti, educazione, agricoltura e così via – che ripensino un nuovo modello di comunità più sano e sostenibile. Viene presentata una serie di proposte politiche, di provvedimenti normativi da adottare per passare dalla teoria alla pratica. Le infrastrutture energetiche sono carenti? Il Movimento per la Decrescita Felice chiede di attuare una «Incentivazione alla trasformazione della rete di distribuzione in rete di reti locali per favorire lo scambio delle eccedenze tra autoproduttori». La raccolta differenziata non raggiunge percentuali accettabili? Una delle proposte in tema di rifiuti consiste nella «Abolizione della tassa raccolta rifiuti e applicazione in tempi rigidamente definiti di una tariffa commisurata alle quantità di rifiuti indifferenziati conferiti allo smaltimento». La cementificazione selvaggia sta uccidendo il territorio? Allora è necessario attuare un «Blocco delle aree di espansione edilizia nei piani regolatori delle aree urbane». Punto per punto, una soluzione per ogni problema, un mattone sull’altro per costruire un nuovo edificio sociale ed economico. Uno dei temi centrali è quello della tecnologia: spesso si accomuna erroneamente la decrescita alla regressione, ma la ricerca e lo sviluppo tecnologico sono centrali nel pensiero decrescitista, in particolare se finalizzati al raggiungimento di traguardi come l’abbattimento delle emissioni inquinanti, lo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili, la riduzione del digital divide.
L’azione del movimento guidato da Pallante però non si limita alla critica del modello di crescita: vengono studiate soluzioni teoriche e forniti strumenti pratici per la costruzione delle alternative. A questo scopo, una delle istituzioni più importanti è l’Università del Saper Fare, nata nella primavera del 2009 a Torino e portata avanti da alcuni Circoli territoriali. L’esperimento è nato dalla volontà di responsabilizzare il singolo individuo, facendogli capire che un cambiamento reale può essere innescato solo se ciascuno di noi si attiva nella propria quotidianità e insegnandogli come sostituire via via le pratiche insostenibili, energivore e malsane proprie dello stile consumista con altre di segno opposto. Cosa possiamo imparare dunque in questa speciale università? Autoproduzione, riciclaggio, riuso, autocostruzione, ma anche come relazionarsi meglio con la comunità, per esempio attraverso un corso di “Economia del dono”. Tutte le attività hanno un minimo comune denominatore: rendere chi partecipa il più possibile autosufficiente. Coltivare un orto, realizzare in casa dentifrici, saponi e detersivi, effettuare la manutenzione della propria bicicletta, costruire e montare un pannello solare, sono tutte piccole azioni che consentono di raggiungere un grande obiettivo: la resilienza, ovvero la capacità di una comunità di adattarsi al cambiamento.
Già, il cambiamento. Il destino del modello attuale, che pretende di perseguire la crescita infinita su un pianeta con delle risorse finite, è segnato. L’inversione di rotta è l’unica soluzione ed essa può essere frutto di un’imposizione oppure di una libera scelta. «Una persona che non mangia perché non ha da mangiare non fa una scelta e sta peggio; una seconda persona che non mangia per fare una dieta fa una scelta e la fa per stare meglio». Pallante utilizza questo semplice esempio per spiegare la differenza fra recessione e decrescita, fra la modifica forzata di uno stile di vita dovuta all’improvviso esaurimento delle risorse necessarie per alimentarlo e la decisione consapevole di chi, rendendosi conto di aver imboccato un vicolo cieco, ha il coraggio e la consapevolezza sufficienti per tornare indietro e scegliere una strada diversa, sostenibile, giusta.
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