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Interesse, s.m. [dal verbo difettivo latino inter-esse] etimologicamente significa stare in mezzo, tra l’essere. L’interesse esprime dunque una relazione conviviale tra i soggetti che partecipano del legame. Significa essere fra le cose di varie persone, e da qui esprime anche il senso di importare, di premere. Si nutre allora un interesse per qualcuno quando importa, preme, che questo qualcuno stia bene.
L’interesse è quindi il risultato di un rapporto orizzontale comunitario e non privato. Da questo punto di vista, non può esistere in alcun modo un ‘interesse per se stessi’, un ‘interesse economico’, un ‘interesse soggettivo’. L’interesse soggettivo è una contraddizione in termini: l’interesse, se è davvero tale, può darsi solo nella condivisione, si esprime e si svela tra l’essere degli esseri che stabiliscono un rapporto.
In latino, il verbo interesse significa anche passare tra, trascorrere, intercorrere: l’interesse, in questo caso, è ciò che avviene tra due stati dell’essere in relazione fra loro, tra un prima e un dopo. In un solo caso (e all’ultimo posto) il termine esprime il senso dell’essere utile o dell’essere vantaggioso, ma il dizionario latino ascrive questo tipo di interesse alla repubblica e allo stato. Non si tratta quindi di utilità e vantaggi soggettivi.
Che la lingua occidentale degli ultimi due secoli abbia compiuto un ribaltamento complessivo del senso del termine di cui si sta qui discutendo, si conferma ancor più se consultiamo il vocabolario che traduce il termine «interesse» dall’italiano al latino. Qui, rispetto al dizionario latino, i rapporti sono ribaltati. Al primo posto non troviamo più lo «stare in mezzo» o «tra l’essere», bensì l’interesse come frutto di un capitale, e poi l’affare, il negozio, la convenienza, il tornaconto. Ma a ben vedere emerge con forza un dato assai rilevante.
L’interesse come «frutto del capitale» viene tradotto in latino non con interesse, bensì con usura-ae o fenus-oris. Quello che noi chiamiamo interesse dovuto al capitale, i latini lo bollavano come usura. Stesso discorso vale per «affare, negozio, convenienza, tornaconto»: non è interesse il termine scelto per significare queste parole, bensì negotium-ii, utilitas-atis, lucrum-i. Ancora una volta il latino non lascia nulla all’immaginazione, gli affari, gli atti compiuti per convenienza o tornaconto personale sono negozio (da nec-otium, ciò che si oppone all’ozio classico, alla contemplazione), sono utilità, sono atti di puro lucro.
Ciò che sorprende, però, è constatare come il vocabolario italiano-latino non contempli minimamente il senso etimologico originario della relazione. L’interesse, per la lingua italiana, esprime ormai unicamente il senso del possesso, dell’arricchimento personale, del lucro e non ha più alcun legame con il suo significato di essere tra due soggetti che esprimono idee, passioni ed emozioni.
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