17 Apr 2015

Consumo di suolo: in tutta Italia i terreni edificabili ritornano agricoli

Scritto da: Laura Pavesi

Sono in aumento in tutta Italia le amministrazioni comunali nelle quali i terreni edificabili stanno ritornando agricoli. Vi abbiamo già […]

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Sono in aumento in tutta Italia le amministrazioni comunali nelle quali i terreni edificabili stanno ritornando agricoli. Vi abbiamo già raccontato l’esperienza di Rivalta  di Torino, dove nel 2013 la Giunta comunale ha censito e chiesto a tutti i proprietari di aree edificabili di rinunciare ai diritti edificatori già acquisiti e di ritornare alla destinazione agricola. Questa proposta di revisione del PRGC (Piano Regolatore Generale Comunale) è stata accolta in modo favorevole dalla cittadinanza e diversi proprietari hanno scelto di ridestinare i loro terreni agli usi agricoli.

 

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Secondo gli ultimi dati ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) la superficie di territorio che viene consumato ogni giorno in Italia non accenna a diminuire, malgrado la necessità di nuove costruzioni non sia giustificata né dall’attuale congiuntura economica, né dall’andamento demografico della maggior parte dei Comuni italiani. Tuttavia esistono molte amministrazioni virtuose che hanno deciso di dire basta al consumo di suolo non solo a parole, ma anche nei fatti e l’iniziativa sperimentata con successo da Rivalta è stata replicata anche da capoluoghi importanti come Reggio Emilia e Bologna.

 

Qualche settimana fa, l’amministrazione comunale di Reggio Emilia – attraverso una Delibera di Giunta – ha proposto  di cancellare dal Piano Strutturale Comunale (PSC) vaste aree che erano già state classificate come edificabili, ma che sono rimaste inutilizzate per anni, e di riclassificarle ad uso agricolo. L’amministrazione non può in alcun modo obbligare i titolari di diritti edificatori a rinunciarvi, eppure la risposta dei cittadini è stata singolare: complice anche la crisi economica e le crescenti imposte sui beni immobili, molti proprietari hanno espresso la chiara volontà di rinunciare ai tali diritti, per una superficie totale di circa 320.000 mq (cioè 32 ettari di terreno, di cui circa 20 ad uso residenziale e 12 ad uso industriale).

 

Pochi anni fa sarebbe stato impensabile sia immaginare un‘iniziativa pubblica di questo genere sia la rinuncia da parte dei proprietari a titoli edificatori acquisiti per riconvertire all’agricoltura aree già destinate all’edilizia e all’industria. “Le città non crescono più”, ha spiegato alla stampa l’assessore all’Urbanistica, Alex Pratissoli. “La nostra decisione non fa altro che assecondare una tendenza del mercato già in atto: la crescita demografica della città è ferma da anni, l’industrializzazione anche. Oltre a questo, reputiamo un valore non incoraggiare il consumo del suolo, ma al contrario valorizzare il patrimonio edilizio già esistente. Il nostro è, prima di tutto, un tentativo di riconoscere valore al lavoro agricolo – ha dichiarato Pratissoli – perché ci troviamo al centro di una regione che produce eccellenze in campo alimentare. Il cambiamento da noi introdotto non vuole rappresentare solo un vincolo di tutela paesaggistico, ma anche sostenere un mondo per noi di assoluta importanza”.

 

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Dello stesso avviso l’amministrazione comunale di Bologna, dove la Giunta ha deciso di bloccare l’edificabilità e cancellare gli ambiti di sviluppo in 4 vaste aree (Pioppe, Nuova Corticella, San Vitale, Savena) sule quali erano previsti nuovi insediamenti per una superficie totale di oltre 2 milioni e mezzo di mq (257 ettari circa) e di favorire, invece, gli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio già esistente. Il Piano Strutturale Comunale (PSC) di Bologna – entrato ufficialmente in vigore a settembre 2008 – stabilisce gli orientamenti generali che guideranno lo sviluppo urbanistico della città nei prossimi vent’anni, ma come ha dichiarato il Sindaco, Virginio Merola, “lo scenario è cambiato dal 2008. A Bologna non si costruisce più”.

 

“Allora sembrava un successo”, ha spiegato Merola alla stampa, “essere riusciti ad approvare il PSC in 3 anni. Ma lo scenario, da allora, si è profondamente modificato. C’è stata la crisi economica, ci sono molti alloggi invenduti in città, ci sono i comparti del Lazzaretto e del Mercato Ortofrutticolo che devono essere finiti. E poi c’è stata una riflessione, anche nell’ambito della nuova “città metropolitana”, sul consumo del suolo. C’è stato un salto nella discussione urbanistica e, ora, non si parla più di nuovi insediamenti, ma di rigenerazione dell’esistente. Si può avviare una discussione, nell’ambito della formulazione del futuro Piano Regolatore Metropolitano (PRM). Però penso che la strada sia sempre quella di lavorare sulla riqualificazione più che su nuovi insediamenti”.

 

Gli ultimi dati Ispra indicano che dal 1956 al 2012 il 7,3% – in media – del territorio italiano è andato irrimediabilmente perduto: ciò significa che un eventuale ripristino dello stato ambientale preesistente all’attuale è ormai impossibile o, in alcuni casi, estremamente lungo e costoso. In Italia, ammonisce l’ISPRA, il consumo di suolo viaggia al ritmo impressionante di circa 8 mq al secondo anche se la continua realizzazione di unità immobiliari non appare giustificata né dall’attuale congiuntura economica, né dall’andamento demografico della stragrande maggioranza dei Comuni italiani.

 

ISPRA

Tante amministrazioni locali, a causa del patto di stabilità e dei tagli nel trasferimento delle risorse dagli enti centrali a quelli periferici, considerano gli oneri legati alla cementificazione come le uniche entrate certe che permettono di “risanare” i bilanci comunali” e assicurare il regolare funzionamento della macchina amministrativa e l’erogazione dei servizi. Ma – oltre all’inopportunità di costruire nuovi alloggi quando si potrebbero ristrutturare e riqualificare dal punto di vista energetico quelli esistenti dando ugualmente lavoro a tante persone – spesso i comuni italiani dimenticano che ad ogni edificio costruito ex novo su un terreno libero, corrisponde un aumento dei costi di allestimento e gestione di servizi essenziali come fognature, strade, illuminazione pubblica, trasporti, ecc. che sono a carico dell’intera collettività, generando un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.

 

Molti comuni e città italiane, invece, stanno cercando di spezzarlo e di andare controcorrente. In queste amministrazioni virtuose i Piani Regolatori non vengono “sovradimensionati” allo scopo di iniettare nelle casse comunali la liquidità proveniente dagli oneri di urbanizzazione, ma vengono fortemente ridimensionati o bloccati. E, dal momento che la modifica dei Piani Regolatori è un’operazione molto lunga, alcune città hanno scelto di ridurre i tempi chiedendo esplicitamente ai proprietari di terreni di valutare la rinuncia ai diritti edificatori per tornare alla destinazione agricola. Una mossa rischiosa che, contro ogni previsione, si sta rivelando vincente.

 

Come ci ricorda la FAO – che ha proclamato il 2015 “Anno Internazionale dei Suoli”  – il suolo è una delle fonti primarie di cibo e base di partenza della maggior parte delle filiere alimentari. Un terreno sano e incontaminato non è importante solo per l’approvvigionamento di cibo, ma è anche un ambiente vitale: è popolato da miriadi di microorganismi, insetti e animali, ha una capacità naturale di regolare i flussi d’acqua ed ha un ruolo attivo nel mantenere in equilibrio i cicli di elementi importanti alla vita, come l’azoto e il carbonio. Non dobbiamo mai dimenticare, avverte ancora la FAO, che la risorsa-suolo non è rinnovabile e che, nei casi migliori, i processi rigenerativi sono estremamente lenti (servono 1000 anni perché si formi 1 solo cm di terreno fertile). Per questo è fondamentale interrompere i processi poco accorti e lungimiranti di gestione del territorio a tutti i livelli, tra i quali anche la cementificazione selvaggia delle superfici.

 

 

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