A Venezia, una fattoria biologica contro il consumo di territorio
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Spesso il cambiamento è il risultato di lunghe fatiche e dure battaglie contro tanti nemici – dall’opportunismo alla burocrazia, dall’ignoranza agli interessi economici. È giusto entusiasmarsi quando le cose vanno bene, ma è anche necessario mantenere i nervi saldi e rimboccarsi le maniche quando i problemi da affrontare sono tanti e gravi. È quello che hanno fatto Piergiorgio e Cristina, fondatori della fattoria biologica Il Rosmarino, un progetto di urban farm situato nella provincia di Venezia. «Da anni – ci racconta Piergiorgio – Il Rosmarino è oggetto di fortissime pressioni da parte del Comune di Marcon. L’area su cui già sorgeva la fattoria ha subito una modifica di destinazione d’uso proprio nel momento in cui stavamo cercando di rendere agibili degli spazi per poter strutturare l’attività e renderla economicamente solida».
Qual è oggi la situazione?
«Il piano regolatore ha trasformato tutta l’area da agricola ad artigianale e l’ha assoggettata a un piano di lottizzazione che, se realizzato, porterebbe notevoli introiti per il Comune grazie agli oneri di urbanizzazione. In questi anni l’amministrazione è arrivata a intraprendere un’azione legale per abuso edilizio nei nostri confronti, non accettando le sanatorie di stalle, fienili e pollai – costruzioni in legno, appoggiate al suolo senza fondazioni – e ritenendo che l’azienda agricola fosse situata “in zona impropria”. Qualsiasi richiesta di messa a norma, finora, è stata sistematicamente bocciata. Così sto attendendo l’esito di un ricorso presentato al Tar e nel frattempo mi sto difendendo per alcuni reati contestatimi, dovuti alle suddette “costruzioni abusive”. Da ultimo, nel febbraio 2013, ho presentato delle osservazioni sul Piano di Assetto del Territorio, prospettando un utilizzo dell’area sostenibile e alternativo: un eco-villaggio sullo stile dell’urban farm, secondo dei modelli già presenti nel resto dell’Europa. Il Comune però dice di non averle comprese. Nonostante tutto, Il Rosmarino – che definiamo come “fattoria della decrescita” – è diventato un luogo fertile di iniziative e di possibilità di sperimentazione per chi vuole cambiare stile di vita nell’ottica di un’economia basata su principi di sostenibilità umana e ambientale. È però necessario che questi sforzi trovino partecipazione attiva da parte di chi condivide questi obiettivi, in modo che non prevalga alla lunga il muro di gomma che una visione ormai superata della gestione del territorio ha eretto intorno a noi».
Quali erano gli obiettivi all’avvio del progetto?
«Siamo partiti con l’intenzione di creare una urban farm che da un lato investa le energie sulla biodiversità e sulle filiere corte con promozione di prodotti locali e, dall’altro, sia occasione di didattica, apprendistato e integrazione sociale con svariati soggetti, tutto in collaborazione con gruppi di persone e istituzioni del territorio».
Quali di questi obiettivi sono stati raggiunti?
«Abbiamo cominciato a essere conosciuti per la conservazione e la propagazione dei semi e per la tutela della biodiversità. Abbiamo avviato il progetto “Cereali antichi” in collaborazione con altri agricoltori e panificatori. Sono in corso esperienze di fattoria sociale con comuni limitrofi, aziende USL e altre istituzioni».
Quali sono le origini delle difficoltà che avete incontrato?
«Non ha funzionato il rapporto con il Comune di Marcon, che non ha riconosciuto l’importanza del progetto, perché l’attenzione è rivolta solo allo sviluppo edificatorio dell’area. Non ha funzionato il rapporto con i Gruppi d’Acquisto della zona, che si sono limitati alla valutazione del servizio e del prezzo dei prodotti, ma non si sono mai sentiti coinvolti in un progetto più ampio. Non ha funzionato il rapporto con i giovani che, spaventati dalla complessità e dalle dimensioni impegnative, piuttosto che investire energie da noi hanno creato microprogetti più semplici. In ogni caso, l’ipoteca più grave è stata quella posta dal Comune, che ha negato ogni tipo di autorizzazione ad ampliamenti finalizzati a far decollare l’attività agricola. Questo ultimo aspetto sembra essere in via di risoluzione, ma in ogni caso prima di cambiare atteggiamento l’amministrazione vuole garanzie che eventuali linee di sviluppo dispongano delle necessarie risorse economiche, cosa per me paradossale visto che proprio questa politica ci ha causato gravissime difficoltà da quel punto di vista».
In che modo avete risolto o pensate di risolvere queste criticità?
«Un tentativo è stato quello di dar vita a corsi di formazione sui temi a noi cari, come quelli della biodiversità, della filiera corta e della trazione animale, oltre che cercare di collaborare con tutte le altre realtà o associazioni affini per intenti e obiettivi e quello di creare attorno a noi cerchie di persone collegate all’associazione di promozione sociale che condividano lo spirito e la solidarietà. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, in parte abbiamo avuto successo».
Quali sono i progetti per il futuro?
«Una necessità è diventare bravi nella comunicazione in modo da far conoscere e sostenere i nostri progetti dalla popolazione, attivamente – attraverso l’acquisto di prodotti e servizi – oppure indirettamente – con il sostegno finanziario all’iniziativa. A tale proposito abbiamo avviato il progetto “Pane bio km0”, che ha bisogno di un finanziamento per la realizzazione dello spazio dedicato a ospitare il progetto stesso, oltre che per l’acquisto del forno. Vorremmo estendere la coltivazione dei cereali antichi e della canapa in modo da contrastare le monoculture, spesso OGM, del mais e da creare una produzione sufficiente per rendere conveniente la trasformazione dei prodotti stessi ottimizzandone le rese. Vorremmo infine diventare una scuola permanente di agricoltura e sostenibilità, creando una realtà abitativa di supporto articolata come cohousing o ecovillaggio, che ricrei in campagna una comunità basata su relazioni di solidarietà e complementarietà».
Visita il sito della Fattoria Biologica Il Rosmarino.
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