Io faccio così #47 – Riabitare il Molise: Valerio Di Fonzo e l’agricoltura olistica
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Molise - Un ricercatore rurale. Così si definisce Valerio di Fonzo, trentaquattro anni, esponente del bioregionalismo e permacultore, che ha deciso di dedicare la sua vita al “riabitare” un territorio, la sua terra: il Molise.
Proveniente da una famiglia di agricoltori e contadini, Valerio ha viaggiato molto dopo aver finito la scuola superiore. Durante questi viaggi, ha avuto la possibilità di vivere e osservare da vicino alcune realtà dove i contesti indigeni erano ancora più o meno intatti, sia in Italia che all’estero. Positivamente colpito dallo stato di salute e dal vigore delle persone che vivono a stretto contatto con la natura, è poi tornato in Molise – precisamente a Petrella Tifernina, in provincia di Campobasso – per cercare di mettere in pratica quanto visto e appreso durante i suoi viaggi.
Di base, si parte da un’azienda agricola di proprietà della famiglia da diverse generazioni: Valerio vorrebbe mettere a disposizione delle persone i suoi terreni, dove poter insegnare e trasmettere pratiche agricole ed esistenziali. Nessuna aspirazione da “guru” e nemmeno un tentativo di creare villaggi “egoidali”: il centro di ricerca rurale “La Roverella” è solo un luogo dove l’agricoltura diventa un mezzo per apprendere le pratiche della condivisione, della pazienza nell’attendere e godere dei ritmi naturali. Una filosofia che diventa pratica di vita.
Valerio lo definisce «un centro di permacultura in costruzione, un insediamento umano sostenibile, che ha come obiettivo principale la divulgazione della permacultura in Molise per fare un balzo nella nuova frontiera dell’agricoltura: quella rigenerativa e olistica». La Roverella è aperta a ospiti che vogliano aiutare Valerio nelle sue attività e, soprattutto, che abbiano voglia di apprendere cosa significhi realmente essere ricercatori rurali: un termine che non ha alcuna implicazione accademica, bensì uno stretto legame con l’osservazione del tempo, degli spazi, della vita e del suo significato. «Spesso l’approccio alla terra come inteso oggi – spiega Valerio – purtroppo è il simbolo dell’antropocentrismo. Per massimizzare la resa produttiva dei terreni, abbiamo fatto massiccio uso della chimica, producendo cibi sempre meno gustosi e salutari e, paradossalmente, aumentando lo spreco degli alimenti. Questo ha comportato un progressivo allontanamento dell’uomo dalla natura e dai suoi ritmi, che contemplano pazienza, capacità di accettazione e condivisione».
Riabitare la Terra, i luoghi, ha un contatto intimo con la salute dell’uomo e collega la sapienza dell’adattamento con la collaborazione partecipativa delle comunità che vivono in natura. Valerio di Fonzo ha appreso e mette in pratica questi concetti dopo una lunga osservazione e un approfondito studio, fatto nel corso degli anni, fatto passeggiando nella natura più intatta e spontanea. La sua conoscenza delle piante commestibili gli ha trasmesso «il forte senso di emancipazione che si prova nel camminare in un bosco e scoprire che siamo circondati di buon cibo da raccogliere». I suoi sforzi sono indirizzati a una dimensione sociale che Valerio sente come necessaria: «La parte più difficile è quando ci si rende conto che certe cose funzionano e poi di conseguenza viene naturale di divulgarle. È li che si incontrano gli atteggiamenti di chiusura più forti. Io ho proseguito, sono andato oltre con le mie ricerche. È un percorso che comporta molta solitudine, ma sono intenzionato a favorire un ritorno alla terra delle persone intenzionate a farlo. Io ho bisogno dell’aspetto umano e sociale, ho la possibilità di trasmettere saperi e modi di vivere che conducono a una forte emancipazione e al benessere personale, la mia terra diventa così strumento di scambio».
Sono molto profondi i punti di contatto tra il Riabitare di Valerio di Fonzo e il Bioregionalismo raccontatoci da Etain Addey in questa intervista.
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