6 Ago 2014

2 Ruote di Resistenza: i NO che aiutano a crescere (parte II)

L’articolo pubblicato la scorsa settimana qui spiegava il punto di vista di alcuni dei comitati di protesta che abbiamo incontrato pedalando […]

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L’articolo pubblicato la scorsa settimana qui spiegava il punto di vista di alcuni dei comitati di protesta che abbiamo incontrato pedalando lungo l’Italia. Comitati che nascono con grande entusiasmo per difendere il territorio su cui si vive, che faticano a coinvolgere la popolazione locale, spesso sorda agli appelli contro lo sfruttamento del suolo pubblico. Comitati che, nonostante tutto, sfoderano armi pacifiche e lottano contro il degrado, prima culturale poi ambientale, che si manifesta in opere scellerate finanziate dal pubblico, cioè tutti noi, ma decise da altri.

 

Nica Mammì e Daniele Contardo

Nica Mammì e Daniele Contardo


 

Generalmente sono progetti che richiedono tempi lunghi per la loro realizzazione, e che andranno a beneficiare una stretta minoranza di persone, ma in compenso avranno nell’immediato un pesante impatto ambientale. E generalmente sono progetti datati, che risalgono ai “tempi d’oro” delle Infrastrutture nostrane! Inesorabilmente superati dai tempi, godono comunque dell’incondizionato consenso dei media e delle istituzioni meno attente.

Prendiamo il caso dell’estrazione di salgemma in Val di Cecina, Toscana. L’attività, nota fin dal Medioevo, si è intensificata a partire dal 1919 quando è subentrata la belga Solvay, che ha acquisito man mano anche le concessioni dalla Salina di Stato. Il salgemma viene estratto per dissoluzione con acqua dolce. Ora, la Solvay chiede alla Regione la realizzazione di altri pozzi per il recupero del sale ma la popolazione lamenta la mancanza di acqua potabile. Alle due sentenze del Tar, che hanno annullato le delibere regionali di autorizzazione dello sfruttamento salino per Solvay, questa ha risposto con la costruzione di invasi per l’acqua proveniente dalle piene del Cecina utile per estrarre il sale.

 

L’ultima proposta è stata la diga sul Masso delle Fanciulle, riserva naturale, a difesa della quale il Comitato per la difesa della Val di Cecina  ha opposto la sua resistenza. Peccato che il fiume sia ormai ridotto ad un rigagnolo e peccato anche che la Regione, invece di preoccuparsi del depauperamento di acqua, porga la mano alla Solvay che ancora non si arrende e presenta un progetto per sei nuovi grandi pozzi per il prelievo di acqua.

Dopo un secolo di sfruttamento delle risorse naturali nella Valle, che ha reso il terreno arido e soggetto a frane e subsidenze e costretto la gente a comprare l’acqua dalle autobotti -come ci racconta Giovanni Cannas, che abbiamo intervistato a Volterra-, la Solvay controlla ancora l’estrazione di sale, mettendo a rischio lo sviluppo turistico dell’area con lo scarico di rifiuti tossici in mare. E dopo il danno anche la beffa: 1 centesimo per tonnellata di sale è il costo affrontato dall’industria verso il Comune per una risorsa non rinnovabile.

E pensare che basterebbe che la Solvay si dotasse di un dissalatore di acqua di mare da cui ricavare sia acqua che sale. I comitati di opposizione propongono la bonifica della fabbrica (dove dalla salamoia si ricava il sale), non la chiusura, per garantire ai lavoratori un lavoro sì, ma dignitoso.

 

Foce del fiume Sele tra Eboli e Paestum

Foce del fiume Sele tra Eboli e Paestum


 

È un nome veramente curioso quello del comitato che incontriamo a Marina di Eboli, in un tratto di pineta che sbocca sulla spiaggia: #NoTonz! “Tonz” sta per “pozzanghera” in dialetto, ci spiegano Antonella, Pina, Maria Grazia e Dorotea del Comitato Rinascimare. Ed è quello che rischia di diventare quel tratto di mar Tirreno se venisse approvato il progetto di 42 “pettini” di blocchi di cemento per fermare l’erosione della spiaggia, a cui sono soggetti pressappoco 30 Km di costa nel Golfo di Salerno. I risultati sono incerti, ammettono gli stessi promotori del progetto, ma in compenso la spesa è sicura: 70 milioni di euro. Ma diamo ancora i numeri: 1.200.000 sono le tonnellate di massi e ripascimenti con sabbie marine che sarebbero riversate nei pennelli per 1.600.000 mc nei comuni di Pontecagnano, Battipaglia, Eboli e Capaccio. I rischi maggiori: la compromissione turistica del litorale, costi di manutenzione dell’impianto difficili da sostenere nel tempo, impianto che, data la diversità della costa, non è adatto alla variabilità del fenomeno erosivo.

Il Comitato ci spiega che il reperimento delle sabbie dal mare prevede un finanziamento di 22 milioni di euro non ancora stanziati. Un’altra opera fantasma? Ben due ricorsi al Tar e la prescrizione da parte della VIA (Valutazione Impatto Ambientale) non sono riusciti a bloccare il progetto. I comuni interessati sono favorevoli, l’unica opposizione giunge dall’Ente Regionale Riseva Naturale Foce Sele Tanagro. I comitati locali e Legambiente propongono di agire sulle cause dell’erosione: utilizziamo il denaro per riqualificare i fiumi ormai privi di detriti!

 

Roma non ha il mare ma esistono, ahimè, diverse forme di sfruttamento del suolo. Nel cuore della Capitale (area ovest della città) respira un polmone verde di circa 466 ha, riconosciuto dal ‘97 come Riserva Naturale Valle dei Casali. Ricca di flora e fauna autoctone, ha conservato diversi complessi di casali seicenteschi. Un tempo bacino primario di rifornimento agricolo per la città – ancora oggi primo comune agricolo d’Italia-, è diventata col tempo una “riserva riservata” in mano a banche e società. I casali sono chiusi al pubblico ma non ai costruttori, che vi speculano dagli anni ‘70. Noi siamo entrati nella Riserva la sera del 4 luglio in occasione dell’evento Valle dei Casali-Terra Bene Comune  organizzato da TerraRivolta  e altre associazioni locali, che stanno lottando per la difesa del luogo. Perché i comitati di difesa che si oppongono a grandi opere e consumo di suolo hanno sempre proposte valutabili.

 

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La loro si concretizza nella riappropriazione delle terre per sottrarle alla svendita del patrimonio pubblico e per la ricostituzione degli usi civici, come sta facendo, non lontano da Roma, a Giulianello di Cori, l’ASBUC. L’Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico  si impegna ad acquistare terreni agricoli entro il territorio cittadino per avviare attività agro-pastorali in unione con le competenze di giovani del posto, una filiera corta che garantisca il riavvio dell’economia locale. Una responsabilità, ci racconta il Presidente Eugenio Marchetti, e un rischio che vale la pena correre.

Ma la politica non ha ancora intenzione di cambiare. Si punta ancora sull’edilizia per rilanciare l’economia e perciò la Regione Campania -la notizia è fresca – ha sbloccato i condoni edilizi in area vesuviana, già zona rossa, e nell’area protetta della Penisola Sorrentina, aumentando il rischio di abusivismo. Un regalo alle ecomafie.

 

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