Io faccio così #36 – Roberto Burdese e Slow Food: tradizione e innovazione per un cambiamento reale
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Incontro Roberto Burdese i primi giorni del mio grande viaggio in camper. Siamo in Piemonte, per la precisione a Bra, e i miei occhi non sono stati ancora colmati dalle centinaia di volti e paesaggi che avrei poi incrociato nel resto d’Italia.
Roberto, Presidente storico di Slow Food, mi riceve nel suo ufficio e subito cominciamo a discutere di agricoltura, economia, beni comuni, acqua pubblica, cambiamenti climatici, difesa dei territori, ruolo di Slow Food e sue trasformazioni in questi decenni. Contrariamente a quanto spesso si pensa, Slow Food dopo la sua fondazione si è presto allontanata dalla pura gastronomia portando avanti un percorso evolutivo che l’ha condotta ad interrogarsi su tutto ciò che gira intorno al cibo: agricoltura, energia, disuguaglianze sociali, acqua pubblica, biocarburanti, dissesto idrogeologico, valorizzazione delle tradizioni locali, tutela del paesaggio, rinascita delle comunità.
A Bra è sorta anche l’Università degli Studi di scienze gastronomiche – che approfondiremo in una prossima puntata – e in giro per il Paese sono nate diverse “condotte”: gruppi di cittadini che si attivano per valorizzare cibi e tradizioni locali e che in molti casi mettono in atto o favoriscono lo sviluppo dei cosiddetti “presidi”, coltivazioni o lavorazioni di cibi che nel tempo sono andati scomparendo (legumi di tutti i tipi, antichi mestieri, eccellenze legate ai vini, solo per citare alcuni esempi).
Intorno ad un presidio, però, si sviluppa una logica sistemica che caratterizza il nuovo corso di Slow Food. Accanto alla valorizzazione della biodiversità alimentare e alla ricerca del gusto e del piacere, infatti, si sviluppano azioni tese a valorizzare tutto ciò che ruota intorno a quel cibo, a quella coltivazione, a quel luogo.
«Dobbiamo imparare a lavorare insieme – mi spiega Roberto –. Gli “altri” sono uniti perché fanno soldi, profitto. Noi, che perseguiamo i beni comuni, spesso finiamo per distinguerci su tutto, ma questa cosa deve finire». Entriamo nel merito delle politiche di Slow Food, delle sue grandi battaglie. «Viviamo in una società sommersa di cibo. Questo ne ha comportato la svalutazione. Per questo le comunità del sud del mondo sono spesso “più avanti”. È fondamentale ridurre il nostro impatto e allo stesso tempo dobbiamo adattare la nostra agricoltura ai cambiamenti climatici, cambiando anche il modo di coltivare.
La chiave è semplice: tornare a produrre il cibo per gli esseri umani. Oggi in pianura padana, così come accade in molte altre parti del mondo, si produce cibo per produrre energia elettrica che viene venduta a prezzi di grandissimo favore grazie ai generosi incentivi dei Conti energia! I biogas. Se non invertiamo la rotta, rischiamo di affamare ulteriormente le popolazioni del cosiddetto terzo mondo. Lo stesso discorso si può fare per la produzione di cibo destinato al consumo degli animali “da carne”. Se vogliamo un futuro sostenibile – continua Roberto – dobbiamo diminuire il consumo di carne e incentivare le produzioni agricole locali, il cosiddetto “km 0”: il cibo prodotto in una certa zona dovrebbe essere riservato, in primis, a chi abita quella zona; poi si esportano le eccedenze.
Bisognerebbe quindi andare verso un regime di “sovranità alimentare” dei popoli fondato sulle reali esigenze delle persone e possibilmente bisognerebbe tornare a mangiare cibi di stagione, variando di più la dieta». Gli chiedo cosa si aspetta dal futuro e quale sia la ricetta che lui propone.
«Tradizione e innovazione devono imparare ad andare insieme. Spesso le persone si dividono: o si è attaccati al passato o lo si rinnega. Dobbiamo invece imparare dal passato e innovare il presente. Per un cambiamento reale, dobbiamo imparare ad assumerci la responsabilità su un doppio livello, individuale e sociale. La chiave è non scoraggiarsi e provare. Provando si sbaglia, ma sbagliando si impara».
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