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Rosia Montana, Romania, seconda settimana di maggio sotto un sole che non ha fatto mancare i propri favori: a sorpresa (per alcuni di noi) il IV Forum Internazionale contro le Grandi Opere Inutili ed Imposte (4° FAUIMP) si è tenuto in un contesto agricolo lontano dai centri congressi che ingenuamente siamo portati ad immaginare quale sede ordinaria per eventi di questa caratura.
Riunione di apertura esaltante, un cerchio cosmopolita sorridente ed appassionato delimita con le panche il verde smeraldino del prato nella fattoria che ha ospitato il forum dell’edizione 2014, organizzato dal movimento Salvati Rosia Montana. La località montana è il centro del movimento di lotta che, da quattordici anni, con esito favorevole, combatte lo sfruttamento minerario aurifero da parte di compagnie canadesi che vorrebbe barattare laghi di cianuro e voragini a cielo aperto con pochi edifici ristrutturati ed una manciata di posti di lavoro.
Uno schema noto alle centinaia di facce e volti di partecipanti, ciascuno recante testimonianza di lotte per la difesa dei propri territori, visi segnati dalle rughe di chi studia carte e dai calli di chi ha costruito barricate e presidi. Ma quanto colpisce di più è il senso di generale rispetto e responsabilità: sentieri obbligati (ma condivisi) per non rovinare il manto erboso (divenuto il bene comune per antonomasia), cautela nel raccogliere immagini video e fotografiche, misura e pacatezza nel dibattito anche acceso, sintonia tra esperienze di lotta mature e nuove istanze di giustizia e legalità.
La disposizione circolare, il senso diffuso di parità, esaltano la percezione di trovarsi di fronte alla parte migliore dell’umanità, sopravvissuta al tracollo dei movimenti sociali di inizio millennio, all’introduzione dell’euro e pure allo stato di guerra permanente condotta entro e fuori i confini (comunque assurdi, quali essi siano).
Delle dichiarazioni finali, delle petizioni e dei risultati istituzionali del Forum, lascerò che parlino penne più informate e competenti. Quanto voglio trasmettere al lettore è la grandezza del contatto con la natura e la solidarietà genuina e sincera, fatta di pane cotto a legna, tavolate collettive e turni per lavare i piatti.
Non poteva esserci dimostrazione più concreta del fatto che si può parlare dei massimi sistemi in cinque lingue (EN, DE, RO, FR, IT) facendo esperienza tangibile della collaborazione tra persone e popoli. Per svolgere il “lavoro sporco” non sono stati fatti più di due appelli. Cibo ottimo, rigorosamente vegano: nemmeno mangiando i partecipanti hanno abbandonato coerenza ed impegno. Il collettivo in cucina ha lavorato senza tregua con risultati eccellenti soprattutto sotto il profilo del gusto: sono certo che in tanti abbandoneranno per sempre il coltello da carne per passare al cucchiaio della zuppa di legumi. Una vera rivoluzione se si pensa al tradizionale menù romeno. Finanziamento: ad offerta libera, chiusura in attivo al netto del pagamento delle spese di viaggio di chi non poteva permetterselo (compreso un meraviglioso ospite marocchino).
Poi c’è l’Italia (che poi è Europa ed Occidente liberista), che ti aspetta con il codazzo di corrotti, spartizioni, colate di cemento e situazioni surreali, compresa la militarizzazione di Torino per una manifestazione pacifica, lo stupore per le infiltrazioni mafiose nei cantieri dell’Expo, le notizie deviate sulla crisi Ukraina.
Bastano cinque giorni di libertà per capire definitivamente che il mondo che ti accoglie al ritorno è un teatrino costruito ad arte, un apparato di controllo mentale, di offuscamento delle coscienze, un sistema di condizionamento che ti costringe ad accettare il macabro paradosso secondo il quale, per convivere pacificamente, occorra bombardare, picchiare, controllare, depredare e nella migliore delle ipotesi ridurre il dialogo interpersonale ad una perpetua bagarre da talk show elettorale.
Quando assaggi il pane che ha il gusto del sudore di tutti, non puoi pensare di tornare indietro, il tuo unico pensiero è di coinvolgere le persone più care perchè sperimentino questi percorsi, perchè possano leggere i quotidiani con il medesimo disgusto che proviamo oggi al nostro ritorno, perché possano pensare che riuniti in cerchio, su un prato d’erba, sotto un telone che a stento ripara dal sole, si possa costruire un mondo in cui i valori della solidarietà, della libertà e del rispetto siano i pilastri sui quali erigere una comunità nuova in cui si sia posto per tutti.
Un posto per tutti: per chi lotta in strada ed intorno ai cantieri, per chi resiste nei tribunali ed in galera, per chi vive la politica con spirito di sacrificio ed onestà, per chi dà il buon esempio pensando che anche le attività economiche debbano essere condotte nella massima trasparenza in ottica di equità. Etinomia, presente, l’ha ribadito più volte, con forza, tra l’approvazione generale. Nel prossimo V Forum, che si tenga in Marocco, in Turchia o nei Paesi Baschi dovrà esserci posto per tutti, perché si parte e si torna insieme: è l’unico modo per vincere la lotta globale che vede tutti uniti contro la devastazione (ambientale ed economica), di cui il TAV, il fracking, lo sfruttamento minerario e le incondizionate colate di cemento sono solo episodi particolari.
«Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.» (Bertold Brecht)
Daniele Forte
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