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Questa settimana Terranave parla di oggetti e di cosa possiamo fare per modificare il loro ciclo di vita, insieme a chi si impegna ogni giorno per invertire la parabola della vita degli oggetti. La fine vita reale di un oggetto spesso non coincide con il momento in cui il suo possessore decide di disfarsene: la gran parte delle cose che viene gettata nel cassonetto il più delle volte è riutilizzabile, riparabile o pronta per essere smontata e riciclata in parte.
In Italia esistono decine di cooperative, associazioni, gruppi informali che si impegnano ogni giorno per modificare il ciclo della vita degli oggetti, intercettandoli prima che raggiungano le discariche. Un lavoro che secondo le normative europee dovrebbe essere svolto dai “centri di riuso” ma che oggi è spesso affidato a esperienze auto-organizzate.
La cooperativa Reware è nata a febbraio del 2013, la sua attività principale è il riutilizzo di computer dismessi. Per lo più provenienti da grandi aziende e uffici, le macchine che arrivano a Reware vengono controllate, riparate, reinstallate con Linux e rimesse in vendita. “I computer che trattiamo spesso non hanno raggiunto il fine vita” racconta Nicolas Denis, tra i soci della cooperativa “in genere sono in grado di funzionare per almeno altri cinque anni, eppure sono considerati rifiuti dai loro detentori”.
A volte però accade che nei lotti arriva qualche computer non più recuperabile, in quel caso Reware si occupa dello smaltimento, portando il PC presso l’azienda municipalizzata di Roma, l’Ama, che li smonta in pezzi e li rivende agli utilizzatori finali delle materie prime e seconde. Secondo i dati reperiti dalla cooperativa Reware, oggi il rifiuto elettronico annuale è di venti chili pro-capite, mentre il soggetto che ne gestisce lo smaltimento – il centro di coordinamento dei consorzi Raee – riesce a recuperarne circa quattro. Più difficile è reperire il dato preciso che riguarda il rifiuto alla fonte (ossia il rifiuto fatto in fase di produzione di bene industriale), stimabile approssimativamente tra i seicento e i duemila chili annui per persona.
Oggi secondo la legge italiana quando un bene diventa rifiuto non può essere ritrasformato in un bene. Inoltre ancora non è entrata in vigore la normativa europea in materia dei centri di riuso, che consentirebbero il riutilizzo di beni riusabili presenti nel flusso dei rifiuti solidi urbani.
I centri italiani di riuso che esistono sono solo dei progetti pilota, come il centro di Vicenza e di San Benedetto del Tronto, che ancora non riescono a lavorare una quantità di materiale realmente capace di impattare positivamente sull’ambiente.
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