Vivere felicemente nella semplicità: Etain Addey e il bioregionalismo – Io faccio così #20
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Terni, Umbria - Vivere felicemente nella semplicità. Etain Addey è l’incarnazione di uno stile di vita che segue solo i ritmi della natura e di un tempo ancestrale regolato dai luoghi e non dall’uomo.
Oggi molte persone – soprattutto giovani – stanno immaginando, progettando e realizzando un ritorno alla campagna e alla vita contadina. Etain Addey questo ricongiungimento lo ha realizzato nei lontani anni ’80 quando, dopo aver vissuto a Roma per molto tempo, ha cominciato ad avere la sensazione di “vivere in un mondo”, come spiega lei stessa, “in cui tutto si può comprare”.
Quando Etain ha deciso di cambiare vita e seguire l’obiettivo di un sostentamento autosufficiente, non sapeva ancora nulla del mondo contadino. “All’inizio non riconoscevo un’erbaccia da un pomodoro” – scherza – ma questo fa parte della vita, il processo è lungo, ci vuole pazienza”. Non si può avere fretta, per vivere in armonia con il luogo è necessario prendere coscienza del luogo stesso, diventare “nativi”. Per noi oggi è molto più difficile riscoprire le logiche di questo tipo di vita, perché siamo bombardati dalla cultura del consumo che ci ha abituato a pensare che tutto ci è dovuto.
“Quando vivi un luogo in maniera profonda” – spiega Etain – “cominci a renderti conto che non sei l’unico essere vivente e che tutti gli altri intorno a te hanno bisogno delle stesse cose di cui ha bisogno tu”. Questa consapevolezza ti porta a rispettare il laghetto più vicino alla tua abitazione, perché non è solo il tuo orto ad avere bisogno di acqua ma tutto l’ecosistema che vive grazie a quel lago. Oggi abbiamo perso la cultura del limite, non sappiamo riconoscere i contorni che prima eravamo in grado di sentire istintivamente. Anche gli animali le hanno insegnato molto, come la capretta che ogni giorno riusciva a trovare un buco nel recinto per scappare e andare a pascolare quando e dove voleva lei. “Era molto ironica. Ci faceva capire che non avevamo nessun autorità per tenerla chiusa lì dentro”.
I primi anni in cui Etain Addey aveva cominciato a seguire questo stile di vita non sapeva cosa fosse il bioregionalismo, ma superata la fase iniziale in cui poteva dedicarsi solo ad imparare i principi dei lavori manuali che sono alla base dell’agricoltura e dell’allevamento, si è potuta concedere le letture per conoscere la filosofia che è alla base di tutto questo. Ha incontrato Giuseppe Moretti, uno dei padri del bioregionalismo italiano, e ha comprato tutti i libri di Gary Snyder. In quel periodo si è resa conto che molti in Italia, come lei, seguivano la strada del bioregionalismo senza saperlo. Per questo ha sia iniziato a tradurre in italiano i testi stranieri sia a scrivere lei stessa delle teorie bioregionali.
Lo spazio di Etain è però più ristretto rispetto a quello tradizionalmente contenuto all’interno di una bioregione. “Mi sposto solo quando è davvero necessario ma non vado molto lontano”. A parte le visite ai suoi figli e nipoti in Inghilterra, ad Etain non piace allontanarsi dalla “sua” terra. Sia perché non può lasciare molto a lungo il lavoro nei campi e gli animali, sia perché non le piace invadere uno spazio che non conosce e in cui quindi potrebbe provocare turbamenti. Il turismo crea molti danni all’equilibrio di un luogo, non solo per l’inquinamento provocato dai mezzi di trasporto ma anche per gli shock culturali che provochiamo abitualmente a molte popolazioni che non hanno nulla a che vedere con i nostri modelli e stili di vita. Il viaggio ha senso se lo si fa per un motivo.
Per questo Etain accoglie nella sua casa di legno le tante persone che si recano da lei per i motivi più svariati. Porta l’esempio di una sua amica che doveva operarsi di cancro e aveva bisogno di allontanarsi dalla sua famiglia per stare sola con se stessa ed essere in grado di superare una prova tanto difficile. “Il viaggio acquista importanza se diventa un motore di incontro e di scambio”, spiega. Confessa che è normale scendere a compromessi, ma l’importante è fare delle scelte secondo coscienza. Anche il rifiuto della tecnologia trova i suoi limiti. Etain vive senza lavatrice né lavastoviglie ma da qualche tempo si è concessa una vecchia automobile per riuscire a risalire dal fiume quando si incontra con i suoi amici.
Anche internet le ha risolto parecchi problemi “soprattutto perché mi è capitato” – racconta – “di andare in un ufficio postale che non aveva francobolli”. Vivere secondo coscienza, la propria, significa insomma mettere in dubbio le proprie abitudini e saper scegliere senza perdere la componente spirituale che permette di percepire il limite, mantenendo la consapevolezza che è il luogo a contenere l’uomo e non viceversa.
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