4 Mar 2014

Progetto Quid, il brand che unisce moda e solidarietà – Io faccio così #18

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Chi ha detto che stili e tendenze sono argomenti frivoli e inconciliabili con l’impegno sociale? Dove sta scritto che l’imprenditoria etica deve trascurare l’immagine e la qualità del prodotto? E perché continuiamo a rimanere ancorati al vecchio luogo comune che profit e no profit sono incompatibili? La piccola, grande rivoluzione di Progetto Quid sta anche, forse soprattutto, nel mettere in discussione questi paradigmi, che separano due mondi in realtà perfettamente sovrapponibili.

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Verona, Veneto - Il nome dice molto: Quid, quel qualcosa in più, il valore aggiunto di cui è impregnato ogni capo che viene acquistato e indossato, proveniente da una filiera produttiva molto particolare. Ma ancora di più dice il logo del brand: la molletta. Un oggetto semplice, ma che svolge un compito importantissimo: tenere insieme due ambiti, due approcci, due visioni differenti, in una sintesi che unisce in un solo oggetto solidarietà e stile, sostenibilità e qualità, etica ed estetica.

Anna Fiscale è una delle anime dell’iniziativa, partita circa un anno e mezzo fa per mano di un gruppo di amici che si sono ritrovati attorno a un tavolo per discutere insieme di un progetto che li mettesse in gioco e che potesse contribuire alla crescita della realtà veronese, alla quale tutti appartenevano. «Siamo in otto, tutti sotto i 35 anni», spiega Anna. «È nata un po’ come una scommessa, ma poi ha acquisito un valore sociale ed economico, tanto da riuscire a dare lavoro a sette donne con un passato difficile».

È infatti questa una delle particolarità del  Progetto Quid: «Produciamo capi d’abbigliamento partendo da tessuti di qualità e “ a chilometro zero”, scartati dalle aziende del territorio. I nostri designer creano modelli nuovi e originali, che poi vengono realizzati artigianalmente». La produzione sartoriale è affidata ad alcune donne – per adesso sono sette – con alle spalle una storia di vita problematica, che hanno così la possibilità di reinserirsi nella società, affinare le proprie abilità professionali e percepire uno stipendio.

«Il coinvolgimento di donne con un background difficile è sicuramente uno dei nostri punti di forza, perché abbiamo cercato sin dall’inizio di stabilire una relazione con loro, non solo un rapporto cliente-fornitore, ma qualcosa di più, dando loro autonomia creativa rispetto ad alcuni pezzi e coinvolgendole nello studio del design. In un anno di attività sono cresciute molto, in termini sia di entusiasmo che di abilità sartoriali. Ed è bello sapere che queste donne, la maggior parte delle quali viene da contesti difficili, riescono ad avere un salario a fine mese grazie al nostro progetto».

Progetto Quid è fortemente radicato sul territorio: le aziende da cui vengono recuperati i tessuti, che altrimenti verrebbero macerati, sono tutte del veronese, così come la Fondazione San Zeno, importante interlocutore che ha dato ai ragazzi la possibilità di aprire un temporary store nel centro del capoluogo veneto. Un’altra istituzione locale, la Fondazione Cattolica, ha consentito a Progetto Quid di strutturarsi meglio, trasformandosi da associazione in cooperativa sociale. «Crediamo molto nella nostra città – sottolinea Anna – ed essa ricambia l’entusiasmo. All’inaugurazione del punto vendita c’è stato un afflusso ininterrotto di gente dalle sette di sera sino a mezzanotte. Molti dei nostri clienti sono affezionati, magari si sono avvicinati attratti da un capo particolare, ma poi, dopo aver conosciuto il progetto, hanno cominciato a visitarci e supportarci con regolarità».

Questa è la prova provata che l’idea funziona. «Circa il 60% di coloro che acquistano i nostri prodotti si avvicina a noi perché apprezza il design e la qualità realizzativa dei modelli che proponiamo. Questo ci da fiducia, perché ci fa capire che abbiamo la capacità di stare sul mercato. Quando poi il cliente viene informato della finalità su cui si fonda il progetto, compra più volentieri. Ma noi vogliamo che le persone siano attratte dalla bellezza e dall’unicità del nostro prodotto, che viene poi arricchito dal valore sociale e ambientale di cui è portatore».

Molte iniziative analoghe puntano quasi esclusivamente sull’aspetto etico, spesso a discapito della qualità. «Crediamo che questo sia un limite fortemente penalizzante: svanito l’entusiasmo iniziale, se la gente non vede un prodotto bello e affidabile difficilmente torna. Bisogna fare leva al tempo stesso sulla coscienza e sul gusto estetico».

L’autosufficienza economica del progetto è uno degli obiettivi di Quid, che però può essere raggiunto solamente se alla visione consapevole viene affiancata quella imprenditoriale. «Personalmente collaboro part-time con un progetto di responsabilità sociale d’impresa e il resto del tempo mi occupo di Quid, che riesce a darmi un rimborso spese, ma non la stabilità economica a cui aspiro.

I ragazzi e le ragazze che partecipano al progetto si trovano nella stessa situazione: Ludovico, il vicepresidente, è impiegato in uno studio di commercialisti; Valeria lavora in un’azienda di moda, così come Elisabetta; Umberto è il nostro creativo; Marco e Fabio, che ci danno una mano nella comunicazione, hanno avviato una loro società. Il nostro obiettivo è quello di regolarizzare entro il 2014 due soci di Quid con contratti part-time e, per il 2015, avere due full-time e un part-time. Adesso stiamo vivendo questa esperienza con slancio e passione, però ci piacerebbe che diventasse il nostro lavoro, che non generasse solo un valore sociale aggiunto, creando occupazione per donne con storie difficili e per il nostro staff logistico, ma che garantisse anche una prospettiva lavorativa per tutti noi, perché quando investi tutte le tue energie e il tuo tempo in un progetto in cui credi fortemente è anche giusto che tu venga premiato per quello che fai».

Quello di Progetto Quid è un esempio, un precedente importante a cui possono fare riferimento tutti coloro che vogliono avviare percorsi concreti di cambiamento. A questo proposito Anna ha le idee chiare: «Il punto di partenza devono essere fortissime motivazioni e un piano d’azione ben studiato, in cui si ha fiducia. Anche perché sono convinta che il bene chiami bene, quindi per chiunque abbia un progetto che ha un riscontro sociale rilevante le porte si aprono; non lo facciamo per il profitto fine a sé stesso, ma per creare una società un po’ più etica».

Ma è anche giusto creare consapevolezza nelle generazioni precedenti: «Si parla spesso di giovani demotivati, che vanno all’estero, c’è poca fiducia nel cambiamento. Però ci sono tante piccole e grandi realtà che stanno sensibilizzando le generazioni nuove e vecchie e stanno aprendo tanti spiragli per un’economia più solidale e più etica, che non vuole affatto dire meno attraente».

Incoraggia il fatto che molte di queste esperienze di cambiamento sono portate avanti proprio da ragazzi e ragazze. «Nel nostro caso – racconta Anna –, inizialmente la giovane età era motivo di diffidenza. Ma pian piano, da un lato noi abbiamo perseverato, forti della convinzione nella nostra idea e nelle nostre capacità, dall’altro i decisori sono stati contagiati dal nostro entusiasmo. È stata una prova dura, ma l’abbiamo superata acquisendo consapevolezza dei nostri mezzi».

D’altra parte, come sostiene anche Anna, un nuovo modello economico, corrispondente a un nuovo stile di vita, si sta affermando sotto varie forme, nel nostro paese così come a livello globale. È un modello che pone al primo posto le relazioni umane, che rifiuta l’idea di ricchezza come accumulazione di denaro, che si sviluppa in armonia con l’ambiente e con chi lo abita, che preferisce la logica della cooperazione a quella della competizione.

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Ma Anna e gli altri ragazzi e ragazze di Progetto Quid non si accontentano dei risultati ottenuti sinora: «La nostra idea è proporci ad aziende di moda e brand affermati sul mercato come braccio etico, inserendo nelle collezioni un pezzo charity realizzato da noi apposta per loro. A partire dal materiale inutilizzato, identificare un capo che possa essere confezionato dalle nostre donne e poi commercializzato in alcuni punti vendita del brand partner. Questo perché crediamo che la partnership fra profit e no profit per la creazione di un prodotto bello e di valore possa essere la formula vincente anche per incuriosire il mercato, sempre però con particolare attenzione verso un progetto e un prodotto etici.

La nostra idea è anche quella di coinvolgere le ragazze provenienti dal carcere di Verona e provare a collocarle all’interno di un nostro spazio, in modo che riescano a ottenere un reinserimento lavorativo tramite Progetto Quid. Iniziando proprio dal carcere, vorremmo dare una formazione sartoriale all’interno della struttura alle detenute, che poi potrebbero costituire la nostra forza lavoro e costruirsi un futuro professionale».

Il servizio è stato realizzato a Verona giovedì 20 febbraio 2014.

Il sito di Progetto Quid

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