27 Feb 2014

Terra del Fuoco, a Milano un laboratorio pubblico per il recupero dell'artigianato italiano

Scritto da: Laura Pavesi

Milano - Milano è una città che riesce sempre a sorprendere. Tra palazzi, uffici, grattacieli e binari della ferrovia si […]

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Milano - Milano è una città che riesce sempre a sorprendere. Tra palazzi, uffici, grattacieli e binari della ferrovia si nasconde una città a misura d’uomo, solidale, eco-sostenibile e lontana anni luce dalla “Milano da bere”. Nel cuore della Bovisa, storico quartiere di origine industriale, c’è un laboratorio aperto a tutti e unico nel suo genere, che promuove il recupero e la diffusione del lavoro manuale e delle tecniche tradizionali dell’artigianato italiano.

E’ il “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali” : banconi con morse e morsetti, sgorbie, martelli, scalpelli e attrezzi appesi ai muri, dove un gruppo di artigiani e appassionati di lavori manuali è a disposizione dei cittadini per insegnare loro a riparare e recuperare oggetti, mobili e strumenti musicali, dare consigli o anche solo per fare quattro chiacchiere.

Terra del Fuoco, “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”. Foto di Laura Pavesi

Terra del Fuoco, “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”. Foto di Laura Pavesi



Oggi si fatica a crederlo, ma fino ai primi anni ’70 Milano era una città ricca di artigiani, botteghe e piccole imprese a conduzione familiare. Poi le botteghe hanno cominciato a chiudere e, con esse, i loro fornitori, perché fare l’artigiano non era più “appetibile” per i giovani, né dal lato sociale, né da quello economico.

La pensava diversamente Mauro Poletti che fin da giovane si è interessato al lavoro manuale e che già dagli anni ’80, in assoluta controtendenza per l’epoca, ha scelto di salvare ciò che restava del “sapere artigiano” nazionale, con lo scopo di recuperare la capacità di “fare con le proprie mani” e tramandare le tecniche tradizionali con modalità che attirassero anche i più giovani.

Il laboratorio pubblico aperto da Mauro Poletti – insieme ai colleghi Andrea Crivelli, Franco Gallerani e Massimo Alò – non è un negozio che produce e vende oggetti e neppure l’ennesima associazione che organizza corsi, ma una vera e propria bottega artigiana con una mission molto precisa: consentire a chiunque l’accesso alle tecniche e fornire a tutti una completa autonomia lavorativa, abolendo quello che, un tempo, era chiamato il “segreto artigiano” per renderlo di dominio pubblico. È un luogo di incontro, comunicazione ed informazione che non condivide solo materiali di base, tecniche e attrezzature, ma soprattutto competenze e conoscenze.

Terra del Fuoco, il “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”. Foto di Laura Pavesi

Terra del Fuoco, il “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”. Foto di Laura Pavesi


Per accedervi è necessaria la voglia di fare, non l’esperienza: anche i più inesperti e meno abituati ai lavori manuali possono recuperare, aggiustare e restaurare i propri oggetti e imparare a farsi da soli perfino colle e vernici, grazie alle indicazioni degli esperti, che consigliano e guidano nella scelta dei materiali e degli attrezzi giusti. Nella bottega operano uomini e donne, giovani e pensionati, persone di qualsiasi età ed estrazione sociale, che eseguono soprattutto lavori di falegnameria e carpenteria, ma anche opere di restauro, decorazione e artistiche. E non è tutto: i prezzi sono popolari (la quota associativa è di 1 euro all’anno) e i preziosi “saperi artigiani” non restano mai confinati nelle quattro mura tra Via Guerzoni e Via Caianello, ma escono per mettersi al servizio della città, del territorio e delle scuole, di tutte le associazioni che hanno a cuore l’ambiente e di tutti i progetti che mettono al primo posto il benessere e la coesione sociale.

Il laboratorio pubblico  della Bovisa è gestito dall’associazione di promozione sociale per la conoscenza e la diffusione delle arti manuali “Terra del fuoco”, fondata da Mauro Poletti e Andrea Crivelli nel 1996. L’associazione incoraggia il lavoro manuale sia come strumento di socializzazione e aggregazione, sia come strumento concreto al riciclo e riuso degli oggetti e al risparmio economico. Obiettivi principali sono promuovere la nascita di piccole economie locali, favorire l’inserimento dei soggetti più deboli in un contesto di normalità e fare rete con tutte le iniziative che promuovono uno stile di vita sostenibile.

Il nome scelto per l’associazione, ci spiega Mauro Poletti, è strettamente legato al suo logo: l’immagine di un abitante originario della Terra del Fuoco, in Patagonia. L’uomo della tribù degli Ona (sterminata nell’800) è nudo in mezzo alla neve, “indossa” solo un abito a strisce dipinto sul corpo e rappresenta perfettamente la libertà da ogni sovrastruttura e la fiducia nelle proprie mani e nel proprio “saper fare”.

Terra del Fuoco, il “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”. Foto di Laura Pavesi

Terra del Fuoco, il “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”. Foto di Laura Pavesi


Mauro, l’idea di recuperare le tecniche artigianali e tradizionali italiane parte da lontano, molto prima della fondazione dell’associazione “Terra del fuoco”. Come e quando nasce l’esigenza di promuovere la diffusione delle arti manuali?

“A questa domanda si può rispondere in molti modi e tutti densi di problematiche: si può ad esempio parlare della morsa immobiliare che, in particolare a Milano, a partire degli anni ’70 ha strangolato i piccoli artigiani, della crisi economica e della miopia (o disinteresse) di Stato e sindacati che non hanno capito l’importanza e i problemi di questo settore e che non lo hanno protetto, della precarizzazione della vita degli italiani che ha avvantaggiato produzioni a basso costo e reso anti-economica la produzione artigianale.

Se a questo aggiungiamo l’impraticabilità, per un giovane d’oggi, dell’apprendistato classico e la “svalorizzazione” sociale del lavoro manuale, abbiamo come risultato che di artigiani veri ne sono rimasti ormai pochi e andrebbero protetti come tesori. Nella congiuntura economica che stiamo vivendo, il ritorno alla manualità contiene una miniera di possibilità e risposte per l’uomo di oggi: per reinventarsi, per smettere di sprecare per riscoprire il valore delle cose.

Queste considerazioni riguardano anche la nostra associazione, nata nella seconda metà degli anni ’90: ad una mia proposta iniziale ha aderito un gruppo di artigiani ed artisti che cercava nuovi significati e valori alle proprie attività. L’obiettivo era di rispondere al bisogno di manualità con uno strumento concreto ed utile: uno spazio per il lavoro attrezzato, con un’assistenza adeguata, a prezzi popolari. A disposizione di tutti e che permette a tutti di ottenere buoni risultati, abolendo così il “segreto artigiano” – cioè l’essenza del mestiere – per svelarlo e renderlo di pubblico dominio ed uso”.

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Terra del Fuoco, il “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”. Foto di Laura Pavesi


Il 1996 è l’anno di fondazione dell’associazione “Terra del fuoco” e dell’apertura del “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”: ci può tracciare un breve bilancio di questa esperienza? Qual è il rapporto tra il laboratorio e il quartiere Bovisa e, più in generale, con i milanesi, le istituzioni, scuole e le altre realtà presenti in città?

“L’esperienza di “Terra del fuoco” nasce nell’ambito protetto di “Casa Morigi”: uno stabile d’epoca di Milano, autogestito da abitanti ed associazioni fin dal 1976. Il nostro laboratorio era affacciato sul cortile, come le botteghe classiche. E’ in questa condizione “privilegiata” che ha avuto il tempo di formarsi un team in grado di affrontare l’apertura al pubblico del laboratorio. I primi anni avevamo pochi soci ed utenti e con loro abbiamo lavorato in modo capillare e minuzioso.

Nel 2005 è iniziata la collaborazione con Silvia Moro: decoratrice ed artista infaticabile e creativa, ci ha coinvolti in numerosi progetti che prevedevano l’uso di materiali di scarto, come le casse da imballaggio, mobili di scarto e bancali industriali. Silvia ci ha aperto al mondo della decorazione, del riciclo e del riuso del legno di scarto.

Successivamente sono arrivate le prime convenzioni con enti pubblici: una ASL per il reinserimento sociale, il Servizio giovani del Comune di Milano ed infine il CIR (Centro Rifugiati): attraverso queste esperienze abbiamo verificato le potenzialità della manualità nel recupero e l’importanza dell’inserimento in un ambito di normalità. Di fronte al “fare” con le mani ciascuno è uguale, affronta i propri personali limiti e scopre le proprie qualità.
L’arrivo in Bovisa (determinato dall’alienazione del patrimonio immobiliare di “Casa Morigi”, n.d.a.) è stata una seconda nascita per noi: ci siamo trovati in un quartiere con un passato artigiano fortissimo, in una via con vicine altre botteghe e con le vetrine sulla strada.

Inizialmente stupiti per una bottega che apre quando tante chiudono, gli abitanti ci hanno accolto con un calore ed un interesse come mai ci saremmo aspettati e la sorpresa maggiore è stata l’avvicinarsi per lavorare di persone sempre più giovani. Alcune mamme sono arrivate a portare per mano i loro figli a lavorare da noi, perché vivessero l’esperienza del lavoro artigiano – e non solo il computer. Anche insegnanti e associazioni di genitori ci sono venute a proporre progetti e interventi: l’anno scorso abbiamo collaborato a giornate di lavoro in scuole di Affori (MI) e di Novate (MI) e presentato un’ipotesi di intervento alla scuola media dietro il nostro laboratorio. E quest’anno abbiamo preparato un piccolo percorso artigiano per gli allievi di un’altra scuola media.

Abbiamo stretto rapporti interessanti con gli altri artigiani della zona che si consolideranno con iniziative comuni in primavera. Gli abitanti del quartiere viene ci vengono a trovare con progetti, idee o anche solo per complimentarsi o mostrare oggetti di produzione propria, di cui sono orgogliosi. Per questi motivi, lo scorso Natale, abbiamo voluto ringraziare il quartiere per le sue attenzioni montando nel laboratorio un grande plastico per trenini per i bambini ed il Consiglio di zona ha dato il patrocinio alla manifestazione. Tutto ciò ci fa sentire accolti e necessari ed è questo che cercavamo e volevamo essere”.

Terra del Fuoco, il “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”. Foto di Laura Pavesi

Terra del Fuoco, il “Laboratorio pubblico di quartiere di Arti Manuali”. Foto di Laura Pavesi


In base alla sua esperienza, qual è oggi il rapporto che giovani e bambini hanno con la manualità, la creatività e il saper “fare con le mani”?

“Per i bambini il rapporto con la creatività e con il “fare” è diretto ed istintivo ed è collegato alla scoperta del mondo e delle cose. Per i giovani conta molto la capacità di guidarli alla realizzazione: l’abitudine ai computer obbliga a creare dei percorsi di immediata verifica del proprio operare, non si può pretendere da un giovane d’oggi la pazienza di aspettare un risultato, esso va mostrato in tempi accettabili e, a quel punto, i risultati sono garantiti ed entusiasmanti per entrambe le parti. Bisogna assolutamente rendere accessibile ai giovani l’approccio artigiano alla conoscenza, perché è indispensabile alla loro formazione e questo comporta una radicale modifica del concetto di apprendistato”.

Quest’anno l’associazione “Terra del fuoco” diventa “maggiorenne”: quali sono gli obiettivi e le sfide per il futuro?

“Siamo diventati maggiorenni senza neanche accorgercene, perché il nostro lavoro ci ha dato soddisfazioni e piacere continui. Nel futuro vorremmo che l’importanza dei nostri temi venisse riconosciuta anche dall’amministrazione, per avere qualche facilitazione – come uno spazio più grande dove poter allargare il discorso ad altri materiali e con maggiori strumenti operativi. Questo ci permetterebbe di essere ancora di più e meglio un servizio pubblico per la cittadinanza.

Noi siamo sicuri che, nel tempo, ci ingrandiremo e ci radicheremo sempre più nel territorio e, a quel punto, la vera sfida per noi sarà non snaturaci e rimanere quello che siamo: attaccati alla semplicità del nostro messaggio, che è pratico e culturale nello stesso momento: il percorso del fare ha la stessa importanza (e forse maggiore) del risultato finale”.

Laura Pavesi

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