A 4 anni da Rosarno. Dallo sfruttamento nei campi all'autoproduzione dello yogurt Barikamà
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Sono passati quattro anni dai fatti di Rosarno, quella ribellione da parte dei migranti braccianti sfruttati che portò ad un vero e proprio scontro di piazza e quindi alla deportazione degli stessi migranti. In occasione del quarto anniversario della rivolta, la trasmissione radiofonica Terranave racconta un progetto coraggioso portato avanti proprio da chi ha vissuto in prima persona quella dolorosa esperienza. Si tratta di sei ragazzi provenienti dal Senegal e dal Mali che adesso vivono a Roma e hanno deciso di mettersi in proprio nella produzione dello yogurt.
Lo yogurt biologico Barikamà viene prodotto nell’alto Lazio e distribuito attraverso mercatini e gruppi di acquisto. Barikamà in lingua bambarà significa “resistenti”. Resistenti come i sei protagonisti di questo progetto, che al lavoro nelle campagne italiane hanno preferito l’autoproduzione.
I produttori dello yogurt Barikamà erano a Rosarno a lavorare nei campi in quel famigerato gennaio del 2010, quando una manifestazione sfociò in un vero e proprio linciaggio ai danni dei braccianti migranti. Come altre centinaia di persone, si erano riversati nella Pina di Gioia Tauro per raccogliere arance e mandarini a circa 25 euro al giorno. Un lavoro a nero, portato avanti in condizioni disumane. A seguito di quelle tragiche giornate, ritrovatisi a Roma senza lavoro né prospettive certe, i sei decisero di mettersi insieme e lanciarsi nella produzione dello yogurt.
Barikamà – nato come piccolo progetto di micro reddito – oggi si sta sempre più consolidando e da poche settimane, grazie a un bando vinto, ha iniziato a produrre all’interno di un caseificio vicino Rieti, mentre prima faceva la produzione tra le mura del centro sociale romano Ex Snia. Lo yogurt Barikamà si trova nei gruppi d’acquisto, nei mercatini biosolidali, nei centri sociali: insomma in tutte quelle situazioni in cui c’è spazio, oltre che per vendere, per fare informazione su cosa c’è dietro a un prodotto commercializzato dalla grande distribuzione organizzata, sulle distorsioni della filiera agroindustriale e su quello che accade quotidianamente nei campi.
Dopo quattro anni dalla rivolta di Rosarno, le condizioni di lavoro nelle campagne calabresi non sono cambiate, anzi, se è possibile sono peggiorate. Le paghe sono rimaste pressoché invariate (da cinquanta centesimi a un euro a cassone), il lavoro è sempre a nero, il caporalato è più che mai diffuso e le condizioni di vita dei lavoratori stagionali continuano ad essere disumane. È quanto racconta Arturo Lavoraro, dell’associazione Sos Rosarno che in occasione del quarto anniversario della rivolta di Rosarno ha lanciato un appuntamento di fronte alle Coop di numerose città italiane, per denunciare lo sfruttamento della mano d’opera nei campi e il meccanismo distorto della filiera agroindustriale.
Incontrati all’inizio dello scorso anno anche da Daniel Tarozzi nel suo viaggio nell’Italia che cambia, i rappresentanti della campagna Sos Rosarno hanno parlato dei motivi e le responsabilità dietro gli episodi di ribellione: le logiche di mercato che impongono un prezzo troppo basso per le arance o gli altri agrumi del posto.
La campagna sos Rosarno, scrive Daniel nel suo libro “Io faccio così”, si basa invece sulla vendita di agrumi e olio, rigorosamente biologici, certificati e prodotti nella Piana di Gioia Tauro, e venduti a un prezzo giusto che permetta ai proprietari terreni di assumere regolarmente i braccianti africani che poi, a loro volta, con i loro guadagni, alimenteranno l’economia locale, affittando case, facendo la spesa, sostenendo l’agricoltura sana e arricchendo il territorio di intelligenza e cultura.
Per saperne di più:
Il sito del network Amisnet: amisnet.org
L’archivio delle puntate di Terranave: www.italiachecambia.org/categoria/terranave/
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