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Di fronte ad una scelta nuova, ad un taglio con il passato, ad una rottura di schemi predefiniti, infatti, il nostro organismo innalza barriere, la nostra mente elabora scuse, il nostro cuore costruisce recinti. “Sarebbe bello, ma è impossibile” – ci affanniamo a spiegare. “Sì, facile farlo per quello là, con tutti i suoi soldi, ma io non posso!” – ci confortiamo. “E poi la mia famiglia non capirebbe, devo mantenere tre figli, la vita costa, mia mamma è anziana, ho il mutuo da pagare, sono troppo avanti con gli anni, il sistema non lo permette, i politici fanno schifo, c’è la crisi”.
Siamo molto accalorati quando elenchiamo tutte queste motivazioni. Qualche volta diventiamo persino aggressivi. Sì, perché se ci fermassimo a pensare, se provassimo ad ascoltare l’altro, se magari aprissimo davvero gli occhi e ci accorgessimo che “quello là” stava in una situazione più difficile della nostra eppure ce l’ha fatta, ed è persino disposto a raccontarci come… beh, in quel caso saremmo obbligati a confrontarci con i nostri spettri, con l’unico vero impedimento alla realizzazione dei nostri desideri: noi, io, tu.
Sono io, sei tu, che alla fine dei giochi, non vogliamo cambiare. Certo non ci piace il nostro lavoro, il luogo in cui viviamo, le persone che frequentiamo, il tenore di vita, i valori che dettano la nostra quotidianità. Vorremmo più tempo libero, vorremmo viaggiare, andare a vivere in campagna e “un giorno lo faremo”, assicuriamo a chi ci conosce. Ma non è così. Non esiste un tempo futuro per il verbo cambiare e non esiste nemmeno un tempo passato. Esiste solo una prima persona, singolare e plurale. Se io cambio, noi cambiamo. Qui e ora.
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