Dentro la tana del bianconiglio, ovvero io, "lui" e un'isola in mezzo al mare
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Sono immerso nella scrittura, quassù, nel profondo sud – in quest’isola meravigliosa e ancora priva di turisti – dove trascorro le mie giornate tra la scrittura, la rilettura di appunti, l’ascolto di registrazioni, qualche passeggiata sul mare, romanzi o telefilm per staccare, qualche esercizio di yoga e momenti di autentico panico. Sì, la scrittura è catartica, ma anche terribile. Parlare, scrivere, raccontare il cambiamento ti obbliga continuamente a confrontarti con i tuoi spettri, con le tue ansie, con quei cambiamenti che hai conquistato e quei cambiamenti che ancora ti fanno paura.
Quando scrivi un libro, ti trovi a trascorrere le giornate da solo, con lui. E lui è lì, che ti guarda da quello schermo e ti restituisce tutte le tue imprecisioni, le tue debolezze, le tue approssimazioni. Nessuno lo sta leggendo, ma lui è il tuo giudice più spietato; ed è implacabile. Provi a distrarlo, ma lui resta lì. Se esci di casa, ti allontani, pensi ad altro, lui non si scompne. Sa che prima o poi devi tornare da lui.
Quando ti svegli, mentre fai colazione, mentre cerchi di distrarti, quando nuovamente ti approcci alla scrittura, lui non ti abbandona mai.
Siamo qui, io e lui su quest’isola in mezzo al mare. Lui però non sa una cosa. Può terrorizzarmi, perseguitarmi, inseguirmi nei sogni, sorprendermi alle spalle. Tra qualche settimana, però, io schiaccierò il tasto salva, poi farò allega, invia, e allora lui uscirà da qui e sarà alla mercè di tutti. In quel momento, in quell’esatto momento, smetterà di essere il mio libro. Diverrà qualcosa che ogni lettore potrà leggere diversamente, proiettando le proprie speranze e paure, il proprio disgusto o il proprio entusiasmo. Sarà qualcosa di diverso ogni volta. Ed io, forse, potrò riprendere a confrontarmi col mondo. In attesa di un nuovo, estenuante, entusiasmante confronto con me stesso.
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