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“La storia dell’amianto è una cartina al tornasole. È la stessa storia che potremmo molto presto vivere con gli altri agenti potenzialmente cancerogeni”. È il grido d’allarme lanciato da Maura Crudeli, presidente dell’AIEA – Associazione Italiana Esposti Amianto, ente da trent’anni impegnato nella sensibilizzazione sulla questione, nella pressione alle istituzioni e nel supporto alle vittime e ai loro parenti.
Nella prima parte della nostra intervista – attraverso i dati ufficiali, che parlano di quasi 4mila morti l’anno e poco meno di 40mila tonnellate ancora da bonificare solo in Italia – Maura ci mette in guardia dal considerare vinta la lotta all’amianto. Specie in un periodo storico in cui, fra i paesi del mondo che ancora non ne hanno proibito l’estrazione e l’utilizzo, ci sono colossi industriali come Cina, India e Russia. E persino gli USA, dove l’amministrazione Trump ha reintrodotto l’uso dell’amianto nell’edilizia, da cui era stato bandito nel 1989.
Ora, in questa seconda parte, l’accento è posto sulla storia del rapporto fra l’uomo e questo controverso minerale, detto anche asbesto, che persino wikipedia definisce “di consistenza fibrosa e cancerogeno”. Perché la storia non si ripeta.
La seconda parte dell’intervista a Maura Crudeli
Per le sue straordinarie proprietà ignifughe, di isolamento, di flessibilità e di resistenza, l’amianto si è prestato fin dall’antichità a diversi usi, facilitati dal fatto che – data la sua natura fibrosa – risulta particolarmente adatto alla tessitura. Tuttavia, la capillarità della sua diffusione nelle società preindustriali non poteva che essere limitata, essendo proporzionale alla quantità di manufatti prodotti. È dunque solo nei primi del Novecento, con la diffusione dell’industrializzazione in tutto il mondo occidentale, che l’amianto – nelle sue diverse forme, spesso mescolato con altre materie prime – diventa uno dei materiali più utilizzati per la fabbricazione di prodotti dalle variegate proprietà.
Intorno agli anni Trenta del secolo scorso, però, si comincia a registrare una quantità sempre crescente di malattie e morti sospette fra coloro che, per lavoro o per altri motivi, sono venuti a stretto e costante contatto con il minerale nei decenni precedenti. Iniziano così le prime ricerche e già negli anni Sessanta si ha la certezza scientifica che respirare fibre di amianto (ciascuna di essa è 1300 volte più sottile di un capello) porta, nel giro di qualche decennio, allo sviluppo di mesoteliomi, carcinomi polmonari, asbestosi, tumori alle ovaie e alla laringe. Molte di queste malattie riguardano l’apparato respiratorio, e per questo motivo morire a causa dell’amianto spesso significa finire la propria vita con la “fame d’aria”, attaccati a una bombola di ossigeno, come testimonia lo spot recentemente realizzato dalla stessa AIEA.
Lo spot di AIEA “L’amianto ti toglie il respiro”
Eppure l’evidenza scientifica non basta per fermare la produzione e la diffusione della fibra killer, non soltanto nell’edilizia, nell’industria meccanica e nella cantieristica – dove è più utilizzato – ma anche negli stabilimenti che producono manufatti per bambini. Basti pensare al celebre Das, la pasta sintetica per modellare senza cottura, che dal 1963 al 1975 veniva fabbricata attraverso una miscela contenente fibre di amianto.
Gli interessi dei grandi gruppi industriali, difatti, sono talmente forti che, alla pubblicazione di studi che confermano la tesi della nocività per la salute, corrisponde la pubblicazione di altrettante ricerche che affermano il contrario. Questo nonostante i numeri del RENAM-Registro Nazionale dei Mesoteliomi e dell’ISS-Istituto Superiore della Sanità evidenzino chiaramente i picchi relativi ai casi di malattie dell’apparato respiratorio nelle zone in cui si trovano gli stabilimenti: Bari, Broni (PV), Casale Monferrato (AL), La Spezia, Massa Carrara, Milazzo (ME), Monfalcone (GO), Ottana (NU), Siracusa, Taranto.
È solo trent’anni dopo che, di fronte alla crescente mobilitazione delle associazioni delle vittime, di quelle ambientaliste e dei sindacati, la politica decide finalmente di intervenire. Vengono pertanto varate in Europa le prime leggi per la messa al bando del materiale (in Italia accadrà nel 1992, con la legge 257). In quei trent’anni, però, la strage di esseri umani è continuata senza sosta.
Come non associare questa storia a quanto sta avvenendo oggi con agenti inquinanti quali i pesticidi, il glifosato, i pfas, i fumi dei termovalorizzatori e altri? Nonostante gli effetti sulla salute dell’uomo (e degli altri esseri viventi) della presenza di sostanze di sintesi chimica nell’aria, nel suolo e nelle acque siano ampiamente prevedibili col semplice buon senso, e nonostante molti studi scientifici indipendenti confortino la tesi della loro tossicità, le istituzioni continuano a prendere tempo sfruttando – come con l’amianto – la divergenza dei pareri e i lunghi tempi di incubazione delle malattie.
È il caso del glifosato, definito “probabilmente cancerogeno” dalla IARC-Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro e, allo stesso tempo, “improbabile cancerogeno” dall’EFSA-Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. Un’ambiguità che permette alle compagnie farmaceutiche di continuare a produrlo e all’agricoltura industriale di insistere a utilizzarlo.
Secondo Maura, solo la mobilitazione di massa, l’attivismo di chi ha davvero a cuore la protezione della biosfera e di chi è colpito, più o meno direttamente, dalle tragedie causate dall’incuria dell’uomo verso il suo stesso ambiente di vita, può contrastare l’immensa forza distruttiva del vero avversario. Un avversario subdolo, che scavalca persino i diritti inviolabili sanciti dalle costituzioni di tutto il mondo, come quello alla salute. Recita così il monumento costruito a Monfalcone (GO), sede di uno dei più grandi cantieri navali del Mediterraneo, dove lavorava anche il papà di Maura: “Costruirono le stelle del mare, li uccise la polvere, li tradì il profitto”. Più di chiaro di così…
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